Case Famiglia, la riflessione del Cupla
Strutture per anziani, nuova legge nazionale contro le aperture “facili”: Un percorso di qualificazione dei servizi privati per scongiurare situazioni irregolari e, nei casi limite, di vera e propria illegalità. Un rafforzamento degli elementi di prevenzione attraverso regole più stringenti di autorizzazione al funzionamento (oggi assenti), di innalzamento della qualità e delle professionalità coinvolte. Un cambiamento tempestivo della norma nazionale, che ora permette con troppa facilità l’apertura di case famiglia, introducendo verifiche preventive e condizioni di maggior garanzia prima del rilascio della concessione.
È questa la richiesta del Cupla (Comitato Unitario Pensionati Lavoratori Autonomi) di Forlì Cesena che si è recentemente riunito per avviare una riflessione sulla situazione delle Case Famiglia. Nel corso del dibattito si sono succeduti i contributi di Mario Zecchini, Presidente CUPLA Provinciale Forlì-Cesena, di Venier Rossi, CUPLA Regionale Emilia Romagna, di Everardo Minardi, professore ordinario di sociologia della Facoltà scienze politiche dell’Università di Teramo e di Andrea Mazzini, amministratore Smart Security sistemi di sicurezza.
I dati sono chiari, oltre 1.200 strutture, per quasi 28mila posti. Un sistema dedicato all’assistenza socio-sanitaria e socio-assistenziale di persone anziane e con disabilità in Emilia-Romagna che comprende 980 strutture per gli anziani (19.600 posti) e più di 250 per le persone con disabilità (8.200 posti) fra case residenza, centri diurni, case di riposo e comunità alloggio. Realtà pubbliche, private accreditate o private autorizzate, il che significa che tutte, prima di poter aprire, devono essere appunto valutate e autorizzate. Una galassia sostenuta, in gran parte, con il Fondo regionale per la non autosufficienza, strumento unico in Italia, portato nel 2019 a oltre 441 milioni di euro dalla Regione e che da solo eguaglia la cifra stanziata a livello statale per tutto il Paese. A questo si aggiungono poi 505 case famiglia (398 per anziani e 107 per persone con disabilità), piccole strutture totalmente private che possono ospitare fino a un massimo di 6 persone e che per avviare l’attività è sufficiente che presentino una segnalazione certificata di inizio attività ai Comuni, così come prevede l’attuale normativa nazionale, senza alcuna autorizzazione preventiva al funzionamento.
Si tratta dunque di un ambito diverso e distinto di servizi, totalmente privati, rivolto a persone autosufficienti o non autosufficienti di grado lieve. Ugualmente importanti per una società che ha visto nel tempo aumentare costantemente l’aspettativa di vita, ridursi la dimensione dei nuclei familiari e, con essa, la capacità delle famiglie di accudire con continuità le persone anziane. Ma è proprio questo valore sociale a rendere necessario prevedere il recepimento, nei regolamenti comunali, di quei requisiti di qualità facoltativi – già oggi molto avanzati rispetto al panorama nazionale. In particolare, verifiche prima dell’apertura, con comunicazione preventiva e disponibilità al controllo della struttura prima della sua apertura, la presenza di spazi adeguati oltre che, naturalmente, a norma; personale qualificato, e disporre di personale adeguatamente formato, un’organizzazione strutturata di attività di animazione e motorie, gite e uscite, con la presenza di un “diario di bordo” dove vengano annotati ogni giorno le attività e gli eventi accaduti e, infine, ma non ultimi per importanza, i requisiti di moralità. Nella catena dei controlli, oltre agli Enti Istituzionali preposti, un ruolo molto importante per la loro indiscussa professionalità, possono sicuramente rivestirlo anche i medici di base che hanno in carico i pazienti ospitati in Case Famiglia.