E’ uno di quei fatti che cadono nel dimenticatoio e che non allarmano più di tanto le persone. Questo perché agisce in modo subdolo, taciturno, in punta di piedi. Ma colpisce come una spada affilatissima e taglieggia fortemente i trattamenti dei malcapitati pensionati. Stiamo parlando della rivalutazione annuale delle pensioni in base all’aumento dei prezzi dei beni che si è verificato nell’anno precedente e che dovrebbe riadeguare, seppur con un anno di ritardo, i trattamenti svalutati dall’inflazione.
La rivalutazione automatica delle pensioni è prevista per legge, anzi dalle leggi che si sono susseguite nel tempo, differenti tra loro per grado di assolvimento del compito che spetterebbe loro, e cioè quello di mantenere invariato nel tempo il potere di acquisto dei trattamenti, differenti tra loro in quanto specchio della volontà dei vari governi che si sono susseguiti dal 1997 in poi di approfittare di un prelievo tanto facile – quello ai danni degli inermi pensionati – per risolvere qualche problemino di finanza pubblica. Le pensioni sono state trasformate da elemento intoccabile, perché accumulate contributo su contributo con i soldi reali dei pensionati, ad una specie di pozzo monetario a cui è lecito attingere quando lo Stato entra in difficoltà economica – e questo avviene molto spesso -, prelevando indiscriminatamente e abusivamente, perché è come se qualcuno con il proprio bancomat prelevasse somme di denaro da un conto altrui.
L’Anap, anche insieme al CUPLA, ha denunciato più volte questa situazione insostenibile che ha visto ridursi fortemente nel tempo il potere di acquisto delle pensioni, mettendo in rilievo, anche attraverso uno studio del CER (Centro Europa Ricerche), gli effetti che leggi sbagliate ed inopportune hanno prodotto sui redditi degli anziani e sulla loro capacità reale di affrontare con il solo mezzo di sostentamento che hanno (la pensione) le incombenze e le necessità che si verificano, anche per via delle salute più precaria, nell’età anziana.
Abbiamo più volte denunciato, e l’abbiamo fatto anche in un recente convegno, che esiste un problema generale di meccanismo inadeguato per far recuperare alle pensioni il potere di acquisto perso con l’inflazione. L’indice ISTAT che viene assunto per stabilire la percentuale di rivalutazione, dato che misura la variazione dei prezzi dei beni di consumo delle famiglie dei lavoratori e degli operai, non tiene conto che gli anziani hanno consumi quasi interamente nell’alimentare e nella salute, molto diversi dalle famiglie più giovani. E questa discrasia si ripercuote soprattutto sulle pensioni più basse, che diventano sempre più basse.
Poi esiste un altro enorme problema creato da specifiche leggi che hanno stabilito che le pensioni dovevano essere rivalutate con una percentuale inferiore all’indice calcolato dall’ISTAT, in misura tanto più penalizzante man mano che cresce il loro importo, fino a provvedimenti che hanno bloccato del tutto la rivalutazione a partire da importi pensionistici non certo da considerare ricchi. Quest’ultimo fatto è successo a più riprese, neanche tanto raramente, con vari governi di differente colore, a dimostrare che l’ideologia cede il passo agli aspetti più pratici che fanno scegliere la strada più liscia e meno apparente, la quale assicura però sopravvivenza politica e mantenimento delle poltrone.
In ordine cronologico l’ultimo pesante provvedimento che è intervenuto sull’indicizzazione delle pensioni è stata la Legge di Bilancio 2019 dell’attuale Governo, la quale ha rivisto in modo peggiorativo la legge 388 ed ha bloccato per due anni la perequazione per le pensioni superiori a 5 volte il trattamento minimo. C’è da aggiungere, per avere la misura della beffa, che nei primi mesi dell’anno i pensionati con trattamenti superiori a 5 volte il minimo avevano avuto la pensione comprensiva della rivalutazione, dato che l’INPS non aveva fatto in tempo ad adeguarsi ai nuovi dettati di legge, ma gli stessi pensionati hanno ricevuto nei mesi successivi una pensione ridotta, anche a causa dei recuperi effettuati dall’Istituto previdenziale.
Un esempio concreto? Un pensionato venuto presso i nostri uffici a chiedere spiegazioni ci ha mostrato i suoi cedolini di gennaio e di giugno da cui risulta che gli sono stati sottratti 30 euro al mese. Facendo un rapido calcolo, questo pensionato, che gode di una pensione di 2.700 euro mensili (buona, ma non da nababbi), perderà quest’anno 390 euro, ma se si considera che il blocco è per due anni e l’effetto trascinamento, la perdita che subirà in dieci anni sfiora gli 8.000 euro. Altro che la minimizzazione che faceva il Presidente del Consiglio Conte all’atto dell’approvazione della Legge di Bilancio, quando affermava che nessuno si sarebbe accorto di quanto perdono le pensioni con la mancata rivalutazione “tanto modesto è l’importo”.
Anche altre Organizzazioni si sono cimentate in questi calcoli. Tra queste, è da citare “Itinerari Previdenziali“, che ha fatto uno studio completo di quanto i pensionati hanno perso negli anni passati e di quanto ancora perderanno nei prossimi anni. Ebbene, le cifre che vengono fuori sono stravolgenti. Per quanto riguarda il passato, in 13 anni (dal 2006 al 2019) i pensionati con importi fino a 5 volte il trattamento minimo hanno perso mezza annualità di pensione, mentre quelli che hanno 12 volte il trattamento minimo hanno perso addirittura un’intera annualità.
Si prenda il caso di un pensionato che dal 2006 riceve 2.000 euro lordi al mese (26.000 all’anno). Facendo la somma delle varie perdite, egli ha perso nel periodo circa dodicimila euro, ossia quasi la metà di un’annualità di pensione. Una situazione nella quale si trovano quasi un milione di pensionati con rendite da 1.600 euro netti al mese.
Chi nel 2006 prendeva 3.000 euro lordi (2.100 netti) ha perso nello stesso arco di tempo più del doppio, ossia quasi 30mila euro, cioè ben due terzi di una annualità di pensione; chi aveva 4.000 euro lordi al mese (2.800 netti) ha perso 48.769 euro, poco meno di un anno intero di pensioni. Non va meglio per quanto riguarda il futuro. Se continuerà a percepire la pensione, cioè se sarà in vita, un pensionato odierno con trattamento mensile di 2.307 euro accumulerà nei prossimi 10 anni una perdita più che doppia rispetto al periodo 2006-2019.
E la cosa che più sconvolge è che tutto ciò avviene ai danni soprattutto di coloro che hanno effettivamente versato contributi e mentre è entrato a quasi pieno regime il calcolo contributivo che teoricamente dovrebbe dare quanto spetta senza alcun regalo.
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