Gli anziani, specialmente quelli più avanti con l’età, sono considerati troppo vecchi e costosi non solo per ricevere le cure più avanzate – e costose – di cui avrebbero bisogno, ma anche per essere inclusi negli studi clinici per la sperimentazione di farmaci di cui sono i primi a fare uso. Un paradosso, frutto di una discriminazione grave e inaccettabile sulla base dell’età, che condiziona l’accesso degli anziani alla sanità, per cui 4 su 10 di essi sono esclusi dalle cure migliori. Tale modo di operare determina negli anziani anche una percezione negativa del proprio invecchiamento, inducendoli spesso a rinunciare a curarsi in modo efficace e al rifiuto di aderire a terapie, screening, comportamenti preventivi.
Questa forma di discriminazione è denominata “ageismo”, ed è un fenomeno divenuto ormai di rilevanza globale che si riflette su ogni ambito della vita sociale degli anziani. Secondo uno studio condotto su oltre 80 mila persone in 57 Paesi, pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, una persona su due ha pregiudizi basati sull’età che hanno conseguenze anche su uno dei settori chiave per il benessere degli anziani, e cioè la sanità, riducendo l’accessibilità alle cure e l’appropriatezza dei trattamenti.
Anche in Italia, i dati dei registri nazionali documentano che fino al 40% degli over 85 con problemi di cuore è trattato in modo inadeguato. Le conseguenze gravano sulla salute psico-fisica degli anziani, aumentando il rischio di diabete, malattie cardiache, ictus e depressione e facendo crescere fino a quattro volte il pericolo di mortalità.
Nasce da qui la Carta di Firenze, il primo manifesto mondiale contro l’ageismo sanitario presentato in occasione del congresso “Anti-ageism Alliance. A Global Geriatric Task Force for older adults’ care“, organizzato dalla Fondazione Menarini con il patrocinio della Società italiana di gerontologia e geriatria, che ha visto riuniti a Firenze i presidenti delle maggiori società geriatriche del mondo, insieme a esponenti dell’Organizzazione mondiale della sanità e delle Nazioni Unite, esperti di etica e rappresentanti delle associazioni di pazienti. Il documento – coordinato da Andrea Ungar, ordinario di Geriatria all’Università di Firenze e da Luigi Ferrucci, direttore scientifico del National Institute on Aging di Baltimora – è stato messo a punto da un panel internazionale di esperti e punta su 12 azioni concrete per ridurre al minimo l’impatto negativo dell’ageismo nell’assistenza sanitaria e migliorare la qualità di vita degli anziani, riducendo i costi legati alle loro patologie.
In base ai pregiudizi e agli stereotipi legati all’età – affermano gli esperti – si ritengono gli anziani già titolari di una quantità di vita sufficiente e ormai gravosi per il sistema sociale ed economico per cui, con l’aumentare del numero di anziani da assistere, è aumentata anche la forma più diffusa di ageismo, cioè la discriminazione in ambito sanitario. Nella comunità medica – puntualizzano gli esperti – resistono barriere mentali che fanno ritenere poco adeguato il ricorso a nuovi farmaci e alle terapie più innovative oltre una certa età. Bisogna quindi proteggere gli anziani dalla discriminazione sanitaria e fare in modo che ricevano le cure migliori.
È inevitabile – aggiungono – che laddove le risorse sono limitate, si operino delle scelte, ma un paziente anziano curato in maniera inefficace va incontro a ricadute e riospedalizzazioni e deve essere nuovamente trattato con uno spreco di risorse, oltre che di vita, e a sofferenze individuali.
Le azioni proposte nel manifesto per invertire la rotta puntano innanzitutto alla formazione. Il tema dell’invecchiamento deve diventare parte integrante del percorso formativo del personale sanitario e degli assistenti sociali. È necessario anche un cambiamento di paradigma nell’approccio alla cura dell’anziano che non può essere trattato in modo spezzettato di volta in volta dal cardiologo, dal neurologo, dal diabetologo, ma deve essere seguito con il necessario sguardo di insieme dal geriatra come medico della complessità. Serve poi dare priorità agli anziani nei pronto soccorso, che rappresentano un fattore di rischio per via dei lunghi tempi di attesa.
Il medico deve anche cercare una maggiore condivisione del percorso di cura con il paziente e con i suoi caregiver informandoli correttamente delle possibili alternative, ascoltando con attenzione le loro esperienze. I pazienti anziani andrebbero inclusi nei trial clinici per la sperimentazione di farmaci, da cui invece sono tagliati fuori perché ritenuti troppo condizionati dalle loro fragilità, che comporterebbero studi più sofisticati e complessi e maggiori controlli. Altrettanto necessario è riprogettare gli ambienti ospedalieri per renderli più age-friendly, riducendo l’isolamento e l’immobilismo a letto dei pazienti e realizzare dispositivi sanitari facilmente utilizzabili anche da chi è più avanti negli anni.
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