Il problema della carenza di nascite e dell’invecchiamento della popolazione in Italia è noto da tempo, ma quello lanciato dall’ISTAT sui dati disponibili nei primi mesi di quest’anno è un allarme che deve far riflettere sul futuro equilibrio del nostro Paese dal punto di vista demografico, sociale ed economico.
Il primo resoconto della natalità nel corrente anno, infatti, segnala la straordinaria caduta della frequenza di nascite sotto la soglia simbolica delle mille unità giornaliere: la media è di 992 nati al giorno, a fronte dei 1.159 di gennaio 2020. Nel complesso, nel bilancio anagrafico mensile risultano iscritti in Italia 30.767 nati vivi, ossia 5.151 in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. L’ISTAT fa notare che “si tratta di una decrescita che, se valutata in termini assoluti, è stata sette volte più grande di quella registrata a gennaio 2020, allorché si ebbero 729 nati in meno rispetto allo stesso mese del 2019.
Eppure il 2020 non era stato di certo l’anno d’oro delle nascite. Secondo un report dell’ISTAT sugli indicatori demografici 2020, nel volgere di 12 anni si è passati da un picco relativo di 577mila nati agli attuali 404mila, ben il 30% in meno.
“Siamo un popolo potenziale di 32 milioni di abitanti, con tutte le conseguenze del caso in termini di lavoro, Pil e consumi”, sottolinea il Presidente dell’ISTAT Gian Carlo Blangiardo in occasione del Festival della Statistica di Treviso. Nel 2021 – ha aggiunto – probabilmente non si riuscirà a raggiungere quota 400mila nati.
In Italia la scelta di fare figli viene fatta in età sempre più avanzata. Secondo le ultime rilevazioni dell’ISTAT l’età media al parto ha raggiunto i 32,2 anni (+0,1 sul 2019), un parametro che segna regolari incrementi da molto tempo (30,8 nel 2003 e 31,1 nel 2008). Cosicché oggi è del tutto usuale che le donne facciano più figli a 35-39 anni rispetto a quelle che ne hanno 25-29 e le ultraquarantenni stanno progressivamente avvicinandosi ai livelli delle giovani under25.
Riguardo alle varie aree geografiche del Paese, il problema della natalità è presente ovunque. Infatti, le nascite, che su scala nazionale risultano inferiori del 3,8% sul 2019, lo sono dell’11,2% in Molise, del 7,8% in Valle d’Aosta, del 6,9% in Sardegna. Tra le province, sono soltanto 11 (su 107) quelle in cui si rileva un incremento delle nascite: Verbano-Cusio Ossola, Imperia, Belluno, Gorizia, Trieste, Grosseto, Fermo, Caserta, Brindisi, Vibo Valentia e Sud Sardegna. La fecondità si mantiene più elevata nel Nord del Paese, con 1,27 figli per donna ma in calo rispetto a 1,31 del 2019 (e a 1,44 del 2008). Nel Mezzogiorno scende da 1,26 a 1,23 (1,34 nel 2008) mentre al Centro passa da 1,19 a 1,17 (1,39 nel 2008).
Secondo Blangiardo servirebbe un’azione tempestiva da parte della politica, una presa di coscienza dell’importanza di supportare la natalità, con tutti i mezzi possibili, come hanno fatto alcuni Paesi europei, mentre in Italia non si è mai affrontato in maniera seria il problema e si è rimasti in attesa che si risolvesse da solo. Si è pensato che lo risolvesse l’immigrazione, che non è la soluzione ma un contributo. Tutto questo ha fatto si che ci si trovi di fronte a un problema gigantesco e a un’accelerazione del fenomeno.
Tutto ciò deve far riflettere anche i pensionati, perché il sistema previdenziale si regge sull’equilibrio attivi/pensionati. Se si riduce la popolazione attiva, chi paga le nostre pensioni?
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