La scelta tra amministrazione di sostegno e interdizione non si basa solo sul grado d’infermità del soggetto incapace, ma il giudice deve compiere una valutazione globale e complessiva della situazione personale e del patrimonio da gestire del soggetto.
E’ quanto ha precisato il Tribunale di Vercelli con sentenza 31 ottobre 2014, n. 142 in cui si da conto della giurisprudenza di legittimità e di merito dei vari Tribunali che si trovano a dover utilizzare i criteri messi a disposizione della legge per stabilire la giusta misura di protezione.
In particolare l’amministrazione di sostegno sarà preferibile in tutti quei casi in cui sia necessaria “un’attività di tutela minima, in relazione, tra le altre cose, alla scarsa consistenza del patrimonio del soggetto debole, alla semplicità delle operazioni da svolgere, e all’attitudine del beneficiario a non porre in discussione i risultati dell’attività svolta nel suo interesse”.
In una recentissima pronuncia la Cassazione ha, infatti, confermato la misura dell’interdizione in un caso in cui l’elevata consistenza del patrimonio mobiliare ed immobiliare, collegata con la gravità e l’irreversibilità delle condizioni fisio-psichiche del soggetto, imponeva l’adozione della misura interdittiva proprio per la gestione e conservazione del patrimonio. In sostanza, è corretto non basare la scelta del provvedimento di interdizione sul solo grado di infermità del soggetto incapace, ma occorre procedere ad un’attenta ricostruzione della particolare situazione fisica e psichica dell’incapace, rapportandola con la complessità delle decisioni, anche quotidiane, da prendere per la gestione del suo patrimonio personale.
Pertanto, il criterio che deve orientare il Giudice, nella scelta tra interdizione e dell’amministratore di sostegno, si trova nei primi due commi dell’art. 410 c.c., che impongono all’amministratore di sostegno, da un lato, di tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario, dall’altro, di informare tempestivamente il beneficiario sugli atti da compiere, e il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso. Ciò comporta un sistema di continuo scambio tra i soggetti dell’amministrazione di sostegno – beneficiario, amministratore e Giudice tutelare – al fine di dirimere i contrasti eventualmente insorti. La logica dell’interdizione è quella “sostitutiva” mentre quella dell’amministrazione di sostegno è quella “collaborativa”.
Quando questo sistema non è indicato o addirittura sia controproducente nell’ottica del conseguimento del migliore interesse del beneficiario, dovrà preferirsi la misura interdittiva. Pertanto il Tribunale adito, ampliando gli originari poteri conferiti, attribuisce all’amministratore in carica, salva diversa determinazione del Giudice tutelare, il potere di prestare, in nome e per conto del beneficiario, il consenso e/o il dissenso ad intraprendere i necessari accertamenti, cure, e trattamenti sanitari, in considerazione dell’impossibilità, anche parziale, del beneficiario a prestare tale consenso.
Si specifica però che questo potere è limitato agli accertamenti, ai trattamenti ed alle terapie routinarie, intendendosi quelli non invasivi e/o che non comportino periodi di lungodegenza in ospedale. Nel caso di operazioni chirurgiche, cicli terapici quali dialisi, chemioterapia ecc., l’amministratore di sostegno dovrà coinvolgere il Giudice Tutelare anche se non a fini autorizzativi, ma informativi.
Resta fermo che, nell’ottica collaborativa, il consenso e/o di dissenso agli accertamenti ed ai trattamenti terapeutici dovrà essere prestato con il beneficiario, e non al posto dello stesso, dovendo l’amministratore tenere presente per quanto possibile i desideri e le aspirazioni del beneficiario.
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