Dopo le prime timide misure contenute nella Legge di Bilancio 2022 riguardanti i disabili e gli anziani non autosufficienti, il Governo sta lavorando attorno al disegno di legge per l’introduzione nel nostro sistema legislativo del “Sistema integrato di assistenza agli anziani non autosufficienti”, indicato dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), e quindi a quella riforma nazionale attesa da 30 anni.
Il “Patto per un nuovo welfare per la non autosufficienza”, una coalizione di Organizzazioni e sindacati di pensionati, tra cui Anap Confartigianato, si sta battendo affinché si metta mano ad una vera e completa Riforma della non autosufficienza, che comprenda tanto i servizi e gli interventi sociali che quelli sociosanitari, le indennità di accompagnamento, alcune agevolazioni fiscali e altre misure connesse con le agevolazioni per i disabili.
Nella Riforma dovrebbe essere indicato un elenco di servizi e interventi che si dovrebbero assicurare nell’assistenza agli anziani non autosufficienti, a cominciare da quelli domiciliari, a quelli residenziali, i semi-residenziali e l’abitare, nonché dovrebbe essere definito il sistema infrastrutturale necessario ad un sistema integrato sociale e sanitario.
Un’altra questione fondamentale è quella dell’incremento delle risorse per il finanziamento del nuovo sistema, che dovrebbe essere assicurato non solo dal Fondo per le non autosufficienze per coprire i servizi e gli interventi sociali, ma anche dal Fondo Sanitario Nazionale per l’assistenza sanitaria integrata ai non autosufficienti. L’urgenza della Riforma della non autosufficienza appare evidente se paragoniamo il nostro sistema con quello di altri Paesi europei.
A questo proposito, sono emblematici i dati contenuti nel recente rapporto “Anziani e disabili: un nuovo modello di assistenza”, realizzato dalla Fondazione per la Sussidiarietà (FPS), in collaborazione con Cesc – Università degli studi di Bergamo, Crisp – Università degli studi di Milano, Politecnico di Milano e Università degli studi di Parma e con la partecipazione di Fondazione Don Gnocchi e Fondazione Sacra Famiglia.
In essa viene posto in evidenza come l’Italia investa poco sull’assistenza ad anziani e persone con disabilità. Infatti, da noi le risorse dedicate allo scopo sono solo il 2,5% del PIL, un punto sotto alla media dei paesi Ocse più sviluppati e due meno della Germania (4,5%) che si trova al primo posto, seguita a stretto giro da Gran Bretagna (4,3%) e Francia (4,1%).
E mentre il servizio pubblico continua a calare, scendendo dal 30% al 25%, avanza il settore privato, che invece sale dal 23% al 26%. Inoltre, cresce in maniera significativa il ruolo chiave del non profit, che include anche le cooperative sociali e che copre quasi la metà dell’offerta totale di posti letto per anziani e disabili (49%), rispetto al 42% di dieci anni fa.
Il rapporto pone in evidenza che con la pandemia sono emersi problemi nella cura e nell’assistenza ad anziani e disabili presenti da tempo.
Innanzitutto, c’è la necessità di riconoscere la diversità dei bisogni:
- esiste l’anziano autosufficiente e l’anziano non autosufficiente;
- esiste la famiglia che può prendersi in carico la persona a casa ed esiste la famiglia che non ne ha la possibilità;
- esiste un tipo di disabilità lieve e uno che richiede assistenza h24;
- esistono famiglie povere e famiglie ricche.
L’articolazione territoriale dei servizi socio-assistenziali e sanitari deve essere riformata perché i bisogni aumentano sensibilmente e perché le possibilità di cura crescano.
Un esempio fra tutti. L’evidenza, viene sottolineato, è che quanto più aumenta il numero di ore di assistenza che la struttura riesce a garantire in media per ogni residente, tanto più migliora la performance e, nel caso in oggetto, si riduce la mortalità. Tuttavia, le tariffe medie per residente stanziate in Italia non permettono di garantire un livello di qualità dell’offerta tale da avere standard similari ad altri Paesi europei o del resto del mondo.
Con 13,8 milioni di anziani, l’Italia ha uno dei livelli più elevati al mondo di popolazione over 65 anni, circa il 23% sul totale (20% nell’Unione Europea), una quota destinata a salire in futuro. I disabili con gravi limitazioni nelle attività abituali sono circa 3,1 milioni, il 5,2% della popolazione. La spesa per il Long Term Care (LTC) nella penisola ammonta a circa lo 0,7% del Pil, la metà rispetto ai Paesi Ocse (1,5%), di gran lunga inferiore rispetto ai principali partner europei, come Francia (2,4%), Gran Bretagna (2,4%) e Germania (2,2%). Gli interventi per il supporto alle persone con disabilità rappresentano circa l’1,8% del Pil italiano, a fronte della media del 2% nell’Ocse. In questo caso specifico siamo in linea con Francia (1,7%) e Gran Bretagna (1,9%), ma sempre lontani dalla Germania (2,3%) che sul settore disabilità investe più di tutti in UE.
I ricercatori hanno stilato proposte precise per le istituzioni: passare dal modello di assistenza attuale basato su un’offerta frammentata a una proposta più sensibile alle variazioni della domanda e ai bisogni veri, attraverso i progetti di cura personalizzati; rivedere i meccanismi di accreditamento, oggi esclusivamente legati a criteri organizzativi e strutturali; introdurre un sistema flessibile che sappia misurare e valorizzare i risultati. Inoltre, affermano che è necessario introdurre il “budget di filiera”, abbandonando la logica della remunerazione del singolo servizio per affrontare in modo flessibile i nuovi bisogni emersi all’interno delle Rsa e delle Rsd.
E ancora: investire nella formazione delle figure sanitarie e socio-sanitarie introducendo nei percorsi universitari corsi sulla medicina territoriale, sulla disabilità e sulla dimensione sociale e relazionale dei percorsi di cura.
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