Come noto, la Legge n. 86 del 2024, cosiddetta per “l’Autonomia differenziata“, è stata approvata dal Parlamento lo scorso 19 giugno.

Si tratta di una legge che definisce le procedure legislative e amministrative da seguire per attuare il terzo comma dell’art. 116 della Costituzione, dove si prevede la possibilità di attribuire “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” alle Regioni a statuto ordinario che ne facciano richiesta.

Differenze di opinioni sulla legge 86

Le materie per le quali attribuire le competenze legislative, sulla base di intese fra lo Stato e la Regione interessata, sono quelle che l’articolo 117 della Costituzione definisce di legislazione “concorrente”: “Rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale”.

Il fatto che una Regione possa chiedere maggiore autonomia su così tante materie ha suscitato qualche preoccupazione sulla possibile frammentazione delle competenze e sull’amplificazione delle già presenti differenze tra regione e regione. Si pensi solo alla sanità e all’istruzione. Per contro è vero è che il Decreto stabilisce che “l’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con riguardo a materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni previsti dalla Costituzione (LEP) e riguardanti tutte le Regioni del Paese”.

In sostanza, chi sostiene la riforma ritiene che con la sua applicazione si dovrebbe garantire una migliore aderenza tra servizi ed esigenze specifiche dei territori, anche perché si presume che così gli amministratori locali siano maggiormente responsabilizzati, pena la possibile perdita di consenso; chi la critica teme invece che la riforma implichi il pericolo di disgregare il Paese, esacerbando e istituzionalizzando di fatto le differenze economiche, politiche e sociali, che già ci sono tra una regione e l’altra.

Il tema della salute, che già rappresenta una delle voci più significative nei bilanci regionali, è quello che più ha suscitato dibattito, in quanto è diffusa la preoccupazione che un’autonomia rafforzata possa ulteriormente consolidare le differenze tra le Regioni più facoltose e quelle più povere, anche in termini di diversa possibilità di accesso ai servizi da parte di cittadini di regioni diverse, con conseguente aumento delle diseguaglianze.

La sentenza della Corte Costituzionale

Di conseguenza, alcune Regioni hanno presentato ricorso alla Corte Costituzionale per far dichiarare illegittima la legge ai sensi degli artt. 2, 5 e 97 della Costituzione e il 14 Novembre scorso la stessa Corte ha assunto la propria decisione accogliendo in parte il ricorso e sollecitando il Parlamento a modificare alcuni aspetti del provvedimento ritenuti in contrasto con la Costituzione.

In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio Comunicazione e stampa della Consulta ha fatto sapere che la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata delle regioni ordinarie, considerando invece illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo. Ciò significa che non è illegittimo tutto l’impianto legislativo, ma solo alcune parti di esso.

In particolare, la Corte ha ravvisato l’incostituzionalità dei seguenti punti della legge:

  • la possibilità che con le intese tra lo Stato e le singole Regioni vengano trasferite materie o ambiti di materie; qui la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere conforme al principio di sussidiarietà;
  • il conferimento di delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) priva di idonei criteri direttivi; la Corte rileva che in tal modo la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento;
  • la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dPCm) a determinare l’aggiornamento dei LEP;
  • il ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023) per la determinazione dei LEP con dPCm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP;
  • la possibilità di modificare con decreto interministeriale le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni;
  • l’estensione della legge sull’Autonomia Differenziata, e dunque dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione alle Regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali.

La Corte ha inoltre chiarito il proprio orientamento su altre previsioni della legge:

  • l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo;
  • la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa, ma implica il potere di emendamento delle Camere; in tal caso l’intesa potrà essere eventualmente rinegoziata;
  • la limitazione della necessità di predeterminare i LEP ad alcune materie (distinzione tra “materie LEP” e “materie-no LEP”) va intesa nel senso che, se il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;
  • l’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso;
  • la clausola di invarianza finanziaria richiede – oltre a quanto precisato al punto precedente – che, al momento della conclusione dell’intesa e dell’individuazione delle relative risorse, si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi a livello UE. È bocciata la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, cosa che indebolirebbe i vincoli di solidarietà e unità della Repubblica.

Spetterà al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dai rilievi della Corte con cui sono state accolte alcune delle questioni sollevate dalle Regioni ricorrenti, e questo nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge.

Infine, la Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora successivamente esse venissero censurate con ricorso in via principale da altre regioni o in via incidentale.

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