La Sezione lavoro del Tribunale di Palermo con ordinanza del 6 novembre 2013, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 25, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito nella Legge 22 dicembre 2011, n. 214) nella parte in cui dispone, per il biennio 2012-2013, il blocco della perequazione automatica delle pensioni di importo mensile superiore, per il 2012, ad euro 1405,05 lordi e, per il 2013, ad euro 1441,56 lordi (pari a tre volte il trattamento minimo INPS).
L’ordinanza del Tribunale di Palermo nel richiamare taluni precedenti pronunciamenti della Consulta in materia, si sofferma, in particolare, sulla sentenza 3-11 novembre 2010, n. 316 nella quale la Corte Costituzionale, avverte che se è vero che “la garanzia costituzionale della adeguatezza e della proporzionalità del trattamento pensionistico incontra il limite delle risorse disponibili al quale il Governo ed il Parlamento devono uniformare la legislazione di spesa” è pur vero, anche, che “la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero della frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità, perché le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere di acquisto della moneta”.
Il Legislatore non ha, però, tenuto conto del “monito” della Corte Costituzionale tant’è che, poco tempo dopo, è nuovamente intervenuto in materia disponendo, questa volta, il blocco totale della rivalutazione automatica delle pensioni addirittura per due anni (2012 e 2013) con riferimento alle pensioni di importo mensile lordo superiore ad appena tre volte il trattamento minimo INPS.
Da qui la questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 25, del D.L. n. 201/2011, sollevata dal Tribunale di Palermo, dal momento che, ad avviso del giudice predetto, risulterebbero violati:
- il principio di cui all’art. 38, comma 2, Cost., dal momento che la mancata rivalutazione impedisce la conservazione nel tempo del valore della pensione, menomandone l’adeguatezza;
- il principio di cui all’art. 36, comma 1, Cost., atteso che la mancata rivalutazione viola il principio di proporzionalità tra pensione (che costituisce il prolungamento in pensione della retribuzione goduto in costanza di lavoro) e retribuzione goduta durante l’attività lavorativa:
- il principio derivante dal combinato disposto degli artt. 36, 38 e 3 Cost., perché la mancata rivalutazione, violando il principio di proporzionalità tra pensione e retribuzione e quello dell’adeguatezza della prestazione previdenziale, altera il principio di eguaglianza e ragionevolezza, causando una irrazionale discriminazione in danno della categoria dei pensionati;
- il principio di universalità dell’imposizione di cui all’art. 53 Cost. nonché quello di non discriminazione ai fini dell’imposizione, di ragionevolezza nell’esercizio del potere di imposizione e della parità di prelievo a parità di presupposto di imposta di cui al combinato disposto degli artt. 3, 23 e 53 Cost. dal momento che, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato, la misura adottata si configura quale prestazione patrimoniale di natura sostanzialmente tributaria.
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