Può capitare che nonostante si lavori per molto tempo, i contributi versati all’INPS siano comunque non soddisfacenti per maturare un trattamento previdenziale. Si tratta di quei contributi silenti che, sebbene stazionano nelle casse dell’istituto previdenziale, non sono comunque sufficienti per ottenere alcun tipo di trattamento. In termini pratici, ci si trova difronte alla situazione in cui l’INPS beneficia di versamenti dai propri iscritti senza che poi restituisca alcunché.
Come bisogna comportarsi in questi casi? Come fare se i contributi versati non sono sufficienti per la pensione? Quali sono le possibili strade da percorrere per risolvere la questione?
Le soluzioni prospettate sono sostanzialmente due: innanzitutto si potrebbe pensare di ottenere il rimborso di quanto già versato all’INPS, ma in tali casi non sempre è possibile farlo, senza considerare il fatto che la restituzione comporta spesso un onere da sostenere in capo al beneficiario, oppure versare autonomamente – ossia in maniera volontaria – i contributi mancanti per riuscire a raggiungere i requisiti contributivi richiesti dall’attuale sistema previdenziale. Ma anche in quest’ultima soluzione bisogna effettuare una valutazione caso per caso. Ma andiamo in ordine e vediamo nel dettaglio come fare se i contributi versati all’INPS non sono sufficienti affinché venga erogato un trattamenti previdenziale.
Contributi versati non sufficienti per la pensione: recupero dei contributi silenti
Come anticipato, per prima cosa si potrebbe pensare di ottenere il rimborso di quanto già versato nelle casse dell’INPS. Ma quando ciò è possibile? In via generale, l’INPS ritiene che i versamenti contributivi non validi ai fini previdenziali non possono essere oggetto di rimborso. Dello stesso parere è anche la giurisprudenza, ed in particolare la sentenza n. 3613/2002 della Corte di Cassazione; infatti è sufficiente che i contributi versati siano potenzialmente utili alla pensione per non dar luogo alla restituzione, anche nel caso in cui questi non siano stati utili ai fini dell’ottenimento di assegno previdenziale. Tuttavia, anche senza ottenere la restituzione dei contributi versati, i lavoratori hanno oggi a disposizione una serie di strumenti per non perdere le somme versate, sommandole in modo da ottenere una pensione. È il tipico caso di chi ha versato contributi in diversi enti previdenziali magari non maturando un autonomo diritto a pensione in nessuna di queste. A tal fine, esistono dei metodi, talvolta onerosi, per recuperare quanto già versato: in particolare stiamo parlando della ricongiunzione, totalizzazione, cumulo o totalizzazione retributiva ed infine del cumulo per artigiani e commercianti. Vediamoli nel dettaglio.
La ricongiunzione, che comporta un costo da sostenere in funzione dell’età, sesso e numero di contributi da raggiungere, permette di riunire i contributi silenti alla gestione alla quale è affidata la pensione. Da notare che con tale metodo non è comunque possibile ricongiungere i contributi versati in gestione separata. Motivo per cui, è oggi una strada ormai abbandonata, visto che esistono alternative più convenienti. La totalizzazione, invece, a differenza della ricongiunzione è gratuita, ed è applicabile sia alla pensione di vecchiaia che a quella di anzianità. Lo svantaggio è quello di vedersi calcolato l’assegno con il metodo contributivo.
Il cumulo o totalizzazione retributiva è un metodo nel quale il calcolo della quota di pensione maturata si effettua, secondo le regole del fondo, su quanto maturato in ogni gestione. Anche in quest’ultimo caso non è possibile cumulare i contributi versati nella gestione separata o nelle casse professionali. Infine, per quanto riguarda gli artigiani e commercianti, è possibile riunire la contribuzione versata alla gestione INPS loro dedicata con quanto versato presso il fondo dei lavoratori dipendenti e recuperare così eventuali contributi silenti.
Contributi versati non sufficienti per la pensione: versamento contributi volontari
La seconda soluzione per non “perdere” i contributi silenti, potrebbe essere quella di colmare i periodi non coperti da contribuzione attraverso i c.d. “contributi volontari“. Si tratta di versamenti spontanei effettuati direttamente dall’interessato nelle casse dell’INPS entro determinate scadenze prefissate. Ma non sempre è possibile ricorrere alla contribuzione volontaria per raggiungere i requisiti contributivi.
Innanzitutto è bene specificare che lo scopo primario di tali versamenti è quello di perfezionare i requisiti di assicurazione e di contribuzione necessari per raggiungere il diritto a una prestazione pensionistica. Inoltre, la contribuzione volontaria può essere utilizzata quando il lavoratore:
- non svolge alcun tipo di attività lavorativa dipendente o autonoma (compresa quella parasubordinata);
- ha chiesto brevi periodi di aspettativa non retribuita per motivi familiari o di studio;
- ha un contratto part-time orizzontale o verticale.
Affinché l’interessato possa essere autorizzato al versamento volontario è necessario che quest’ultimo abbia maturato uno dei seguenti requisiti:
- almeno 5 anni di contributi (260 contributi settimanali ovvero 60 contributi mensili) indipendentemente dalla collocazione temporale dei contributi versati;
- almeno 3 anni di contribuzione nei cinque anni che precedono la data di presentazione della domanda.
Da specificare che i requisiti richiesti, per ottenere l’autorizzazione alla prosecuzione volontaria, devono essere perfezionati con la contribuzione effettiva (obbligatoria, volontaria e da riscatto), escludendo la contribuzione figurativa a qualsiasi titolo accreditata.
Fonte: LeggiOggi.it
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