È dal lontano 2001 che vari Governi hanno fatto ripetuti interventi sui meccanismi di rivalutazione automatica delle pensioni all’inflazione per cercare di limitare gli esborsi dello Stato, facendo di fatto cassa con i soldi legittimi dei pensionati. Da quella data si contano sette interventi di raffreddamento della rivalutazione, alcuni dei quali già vagliati dalla Corte Costituzionale e talvolta accolti, ma con minimi danni alle casse dello Stato, anche perché in presenza di crisi finanziarie che rendevano necessario chiamare al sacrificio i pensionati (chissà perché solo loro).

L’ANAP ha sempre svolto un’azione di opposizione a tali tagli e il CUPLA ha prodotto, insieme al CER (Centro Europa Ricerche), studi e documenti in cui si evidenzia come la mancata indicizzazione e l’agire dell’inflazione non hanno svalutato solo le pensioni medie e medio-alte che hanno subito il blocco della rivalutazione automatica, ma anche quelle più basse sulle quali hanno pesato anche un meccanismo di indicizzazione targato su consumi non propri degli anziani e le tasse locali.

Adesso è stata la Corte dei Conti della Toscana, con l’ordinanza numero 33, ad aver sollevato un’eccezione di costituzionalità sul blocco della rivalutazione delle pensioni accogliendo il ricorso di un dirigente scolastico senese in pensione di 71 anni.

Il ricorso ha portato alla decisione del giudice contabile di trasmettere gli atti alla Consulta per una questione di legittimità costituzionale dell’articolo della legge di ‘Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025‘, con riferimento agli articoli 3, 23, 36 e 38 della Costituzione.

Corte Costituzionale vaglia la rivalutazione delle pensioni

Il ricorso del pensionato toscano è solo uno dei tanti, piovuti in tutta Italia davanti alla Corte dei Conti e ai tribunali. Nelle prossime settimane e mesi altri potrebbero essere accolti e girati alla Consulta. Alla base delle richieste dei pensionati c’è l’obiettivo di recuperare il taglio che danneggia le pensioni in modo permanente e di avere per intero l’indicizzazione sugli assegni per gli anni 2022, 2023, 2024.

Quali prospettive di successo ha il ricorso? Come detto sopra, già in passato altre sentenze della Consulta avevano fermato la mancata rivalutazione perché applicata a tutti i pensionati o per troppi anni.

In questo caso la Corte dei Conti adduce interessanti motivazioni e osserva che intanto il quadro storico è diverso, perché il taglio del Governo è “al di fuori di crisi finanziarie“, è inserito in una manovra “fortemente espansiva e fatta in deficit” e in anni di “sospensione del Patto di stabilità Ue“. Non sussiste dunque il dato dell’emergenza.

L’ordinanza cita a questo proposito passaggi dell’analisi della Corte dei Conti sulla prima manovra del Governo Meloni e anche l’audizione dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, concludendo che le risorse tagliate alle pensioni sono state usate “per coprire i costi di nuovi interventi minori“.

Entrando poi nel merito della possibile incostituzionalità del taglio in relazione gli articoli 36 e 38 della Costituzione, afferma la Corte dei Conti che la pensione è retribuzione differita, e non è una prestazione assistenziale, né ha carattere fiscale. Al pari dello stipendio di un lavoratore, deve essere “proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro” e “adeguata non solo al momento del collocamento in quiescenza, ma anche dopo, in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto“.

Secondo la Corte i tagli alle pensioniledono la dignità” dei pensionati, perché vanno al di là dei principi costituzionali della “ragionevolezza” e della “temporaneità” della misura e vanno avanti da 20 anni e con sistemi di calcolo “non proporzionali”, dunque iniqui.

In più, il tipo di intervento previsto dalle ultime Leggi di Bilancio, con la rivalutazione per fasce, anziché per scaglioni come avviene per l’Irpef, costituisce una perdita secca e permanente, applicata all’intero importo di pensione.

Per la Corte, tutte le pensioni sono frutto del lavoro. Penalizzarle da un certo importo in su significa “disincentivare il lavoro regolare, favorire il nero“, ed anche mandare un messaggio ai giovani sbagliato: non vale la pena studiare e aspirare a lavori ben retribuiti, anche dirigenziali, se poi la pensione sarà tagliata. In sostanza, “la pensione più alta della media non risulta considerata dal legislatore come il meritato riconoscimento per il maggiore impegno e capacità dimostrati durante la vita economicamente attiva, ma alla stregua di un mero privilegio, sacrificabile anche in un’asserita ottica dell’equità intergenerazionale“.

Tenendo conto che il Governo si appresta a predisporre la Manovra finanziaria per il prossimo anno e che le prime indiscrezioni parlavano di una reiterazione dei tagli alla rivalutazione delle pensioni, il ricorso alla Consulta potrebbe agire un pò da freno alle intenzioni del Governo. Se poi la Consulta certificasse l’incostituzionalità, il Governo trovare si troverebbe a che fare con il reperimento di risorse per 37 miliardi, tanto varrebbe infatti il monte dei rimborsi da fare ai pensionati.

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