Il 17 giugno 2014 si è tenuto a Roma il Convegno “Welfare Day 2014 – Costruire la Sanità integrativa”, organizzato da RBM Salute in collaborazione col CENSIS e con il patrocinio del Ministero della Salute, che si prefiggeva lo scopo di promuovere il dibattito tra i protagonisti del Welfare sul Sistema sanitario e sul ruolo della Sanità integrativa. Convegno al quale ha partecipato anche un rappresentante dell’Anap. I lavori sono stati incentrati su tre relazioni principali (Ricerca CENSIS, Sanità integrativa e contrattazione, Welfare e impresa) a cui ha fatto da corollario tutta una serie fitta di interventi e gruppi tematici (troppi!), che hanno appesantito non poco la discussione.
Indubbiamente il lavoro più interessante è stata la Ricerca presentata dal CENSIS (Prof. De Rita e Dott.ssa Collicelli) in collaborazione con Previmedical dal titolo “Il ruolo della sanità integrativa nel Sistema Sanitario italiano”, con la quale sono stati illustrati molti dati interessanti sul funzionamento del Servizio Sanitario Nazionale e i risultati di una indagine condotta tra i fruitori del SSN.
Dalla Ricerca emerge innanzitutto che sono sempre di più gli italiani che pagano di tasca propria i servizi sanitari che il pubblico non garantisce più. La spesa sanitaria privata degli italiani è pari a 26,9 miliardi di euro nel 2013 ed è aumentata del 3%, in termini reali, rispetto al 2007. Nello stesso arco di tempo la spesa sanitaria pubblica è rimasta quasi ferma (+0,6%).
Si è molto sviluppata la logica secondo cui il cittadino paga di tasca propria quello che il sistema pubblico non è più in grado di garantire. Gli italiani sono costretti a scegliere le prestazioni sanitarie da fare subito a pagamento e quelle da rinviare, oppure non fare. Così, crolla il ricorso al dentista a pagamento (oltre un milione di visite in meno tra il 2005 e il 2012), ma nello stesso periodo aumentano gli italiani che pagano per intero gli esami del sangue (+74%) e gli accertamenti diagnostici (+19%). Ormai il 41,3% dei cittadini paga di tasca propria per intero le visite specialistiche. Cresce anche la spesa per i ticket, sfiorando i 3 miliardi di euro nel 2013: +10% in termini reali nel periodo 2011-2013.
I tempi di attesa, talvolta estremi, condizionano la salute dei cittadini, soprattutto quelli a basso reddito. Se si vogliono accorciare i tempi di accesso allo specialista bisogna pagare di tasca propria: con 70 euro in più rispetto a quanto costerebbe il ticket nel sistema pubblico si risparmiano 66 giorni di attesa per l’oculista, 45 giorni per il cardiologo, 28 per l’ortopedico, 22 per il ginecologo.
Anche riguardo agli accertamenti diagnostici e di riabilitazione, i tempi di attesa enormi per il servizio pubblico costringono chi può alla fuga nel privato. Ad esempio, per effettuare una colonscopia in una struttura pubblica il ticket costa 49 euro e si richiede un’attesa media di 84 giorni, nel privato con 213 euro si aspettano 8 giorni. Per effettuare una risonanza magnetica del ginocchio il ticket è di 49 euro e l’appuntamento è dopo 68 giorni, nel privato pagando 149 euro si aspettano 5 giorni. Per un’ecografia all’addome il ticket ammonta a 53 euro e l’attesa a 65 giorni, nel privato per un costo di 113 euro si aspettano 6 giorni. E così via. La ricerca mette anche in evidenza che molto spesso le visite in intramoenia, che richiedono tempi di attesa brevi, costano come, se non di più, rispetto ad una visita da un privato esterno all’ospedale. Poi ci sono le differenze territoriali. L’ammontare del ticket da pagare varia fortemente nelle diverse aree geografiche del Paese. Ad esempio, per le visite specialistiche (oculistica, cardiologica, ortopedica e ginecologica) oscilla tra un valore medio minimo di 20 euro al Nord-Est e uno massimo di 45 euro (più del doppio) al Sud, con differenze ancor più accentuate per alcuni esami diagnostici. E così sono variabili i tempi d’attesa, che nel sud sono anche 6-7 volte maggiori rispetto al Centro-Nord.
E secondo gli italiani la sanità peggiora. Il 38,5% di essi (erano il 28,5% nel 2011) ritiene che la sanità della propria regione sia peggiorata negli ultimi due anni. Per il 56% è rimasta uguale e solo il 5,5% ritiene la sanità regionale migliorata. Nelle regioni con Piano di rientro la percentuale di cittadini che ritengono peggiorata la sanità regionale schizza al 46,8%, mentre nelle altre regioni è pari al 29,3%. Crolla dal 57,3% del 2011 al 44,4% del 2014 la quota di italiani che giudicano positivamente la competenza delle Regioni sulla sanità. Gli italiani vedono un nesso diretto tra i tagli alla sanità imposti dai vincoli economici e l’abbattimento della qualità dei servizi, ed è per questo che potrebbe attirare sempre di più la possibilità di curarsi all’estero (oggi lo fanno 1,2 milioni di italiani).
Tornando alle altre relazioni presentate nel Convegno, merita una menzione il documento presentato dal dott. Marco Vecchietti sulle forme sanitarie integrative. Al di là della naturale propensione del responsabile di RBM ad esaltare lo sviluppo della assicurazioni sanitarie integrative, alcuni dati forniti sono di indubbio interesse:
- In Italia la spesa sanitaria privata è il 20% della spesa sanitaria totale, contro una media del 27% in Europa.
- Della spesa sanitaria privata, quella mediata dalle Assicurazioni integrative è pari al 13%, ed è una delle quote più basse in Europa (in Francia i Fondi sanitari mediano il 70% della spesa sanitaria privata, in Gran Bretagna quasi il 50%, in Germania oltre il 40%, in Spagna più del 20%.
In Italia è nel nord-ovest che si verifica la maggiore spesa sanitaria privata (23% rispetto al totale) e il maggior ricorso ai Fondi sanitari integrativi (spesa di 2,10 Miliardi di euro); nel sud e isole, invece, la spesa sanitaria privata è il 15% del totale e minima è l’adesione a fondi integrativi.
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