Secondo il Rapporto annuale dell’Istat lo sviluppo del reddito medio di un Paese, pur fondamentale per conseguire miglioramenti delle condizioni economiche e sociali dei cittadini, non assicura di per sé un analogo miglioramento del benessere complessivo di questi ultimi. Ad esempio, un aumento del reddito medio che vada solo a vantaggio di una parte della popolazione può essere accompagnato da un peggioramento del tenore di vita per una parte consistente di persone; analogamente, se il reddito nazionale aumenta, ma quello reso disponibile per le famiglie si contrae, ad esempio a causa dell’aumento della pressione fiscale non controbilanciata da un miglioramento dei servizi erogati dal settore pubblico, il benessere complessivo dei cittadini può subire un peggioramento. Di conseguenza, accanto alle analisi sull’andamento complessivo dei diversi fenomeni che guidano l’evoluzione socio-economica del Paese, è importante – secondo l’Istituto – valutare la dimensione dell’equità, distinguendo al suo interno sia la componente intragenerazionale, sia quella intergenerazionale, senza dimenticare le disuguaglianze legate a fattori territoriali, particolarmente rilevanti in Italia.

Queste considerazioni, ampiamente condivise anche dalla letteratura economica internazionale e alla base delle raccomandazioni avanzate da numerose organizzazioni internazionali, sono confermate da quanto emerso dalla rilevazione condotta dall’Istat all’inizio del 2011 sui fattori che maggiormente influenzano il senso di benessere dei cittadini residenti in Italia. La rilevazione ha dato risultati molto significativi e raramente i giudizi che i cittadini forniscono su altri aspetti della loro vita quotidiana sono risultati così omogenei in base al sesso, l’età e il territorio.

La salute si conferma come la dimensione in assoluto più importante, ma è di grande rilevanza il fatto che al secondo posto si trovi la “possibilità di assicurare un futuro ai figli”, segnalando come il tema dell’equità intergenerazionale sia un elemento che non è possibile ignorare.

Al terzo e quarto posto si situano due dimensioni correlate, avere un lavoro dignitoso e avere un reddito adeguato, seguite dalla bontà dei rapporti interpersonali, dalla sicurezza personale, dalla fiducia, dalla qualità e accessibilità dei servizi pubblici, dalla qualità dell’ambiente in cui si vive. Per questo, integrando le analisi presentate nei capitoli precedenti e nel Rapporto Annuale dello scorso anno, questo capitolo analizza alcune di queste tematiche, a partire da quella dell’equità nella distribuzione del reddito.

Negli ultimi trent’anni, la disuguaglianza è aumentata in molti paesi avanzati, ivi compresa l’Italia. Peraltro, per i 27 membri dell’Unione europea (con poche eccezioni) sembra sussistere una relazione positiva fra equità e crescita, tant’è vero che i paesi che erano più egualitari nel 2005 sono anche cresciuti di più nel periodo 2005-2010 e, soprattutto, alla fine del periodo hanno raggiunto un prodotto pro capite superiore a quello degli altri.

Dal punto di vista della tassazione dei redditi e dei suoi effetti redistributivi, l’insieme degli sgravi e agevolazioni previsto dalla normativa italiana è divenuto negli anni, a seguito di modifiche che si sono sommate nel tempo, talvolta contraddicendosi, molto eterogeneo, finendo per determinare una sorta di “personalizzazione” dell’imposta. L’ammontare di questa, infatti, dipende non solo dai redditi percepiti, ma da un vasto insieme di caratteristiche e di comportamenti che differenziano i contribuenti. Ne segue un’alterazione del regime generale di progressività e una distorsione nel perseguimento degli obiettivi di equità. Elaborazioni sui dati dell’indagine Istat sui redditi e sulle condizioni di vita consentono di valutare l’incidenza effettiva delle imposte sui redditi, tenendo conto degli articolati effetti del sistema delle detrazioni sui singoli individui. Peraltro, l’aggregazione dei risultati per famiglia evidenzia in quale misura la progressività a livello individuale sia compatibile con obiettivi di equità quando si considera la distribuzione dei redditi familiari.

Naturalmente, l’equità non va misurata unicamente in termini di distribuzione del reddito, ma soprattutto rispetto alla distribuzione delle opportunità. Purtroppo, le disuguaglianze evidenziate dalla analisi della distribuzione dei redditi non vengono sufficientemente aggredite dalla mobilità sociale, che dall’esame dei dati appare non avere una spinta sufficiente a svolgere questo compito. L’Italia, infatti, pur avendo registrato un’alta mobilità assoluta, è tuttora un paese caratterizzato da una scarsa fluidità sociale. Come emerge dagli indici di mobilità sociale relativa, la classe sociale di origine influisce in misura rilevante sul risultato finale, determinando rilevanti disuguaglianze nelle opportunità offerte agli individui: al netto degli effetti strutturali, tutte le classi (in particolare quelle poste agli estremi della scala sociale) tendono a trattenere al loro interno buona parte dei propri figli e i cambiamenti di classe sono tanto meno frequenti quanto più grande è la distanza sociale che le separa.

Il sistema di istruzione, che dovrebbe essere lo strumento principale per sostenere la mobilità sociale, offre invece migliori opportunità ai figli delle classi superiori: il livello della famiglia di origine risulta essere discriminante nel determinare sia gli esiti scolastici, sia i percorsi d’inserimento nel mercato del lavoro. Peraltro, l’analisi dei dati relativi al mercato del lavoro italiano evidenzia come le minori opportunità di occupazione e lo svantaggio retributivo delle donne siano fra le cause più rilevanti di disuguaglianza, mentre l’instabilità del lavoro, generalmente associata a retribuzioni inferiori alla media, è diventata un’ulteriore, ed altrettanto importante, causa di disuguaglianza nei risultati socio-economici.

Disuguaglianze persistono – prosegue l’Istat – anche all’interno della famiglia: la distribuzione dei ruoli economici e la ripartizione del lavoro di cura sono, nel nostro Paese, ancora in disequilibrio a sfavore delle donne e tali squilibri interagiscono con la partecipazione femminile al mercato del lavoro e quindi, in modo mediato, anche con i risultati generali sulla distribuzione dei redditi. Rilevanti differenze si riscontrano, all’interno della popolazione, anche su aspetti che riguardano condizioni e qualità di vita: in particolare, un bene primario come la salute è condizionato per i singoli, in modo diretto o indiretto, dal livello socioeconomico di appartenenza e la distribuzione delle aspettative di vita risulta pertanto agganciata a quella più generale del reddito.

Disparità di rilievo si rinvengono, in conseguenza dell’appartenenza ad un’area territoriale piuttosto che ad un’altra, anche rispetto alla disponibilità e alla qualità dei servizi pubblici erogati ai cittadini. I servizi e le prestazioni sociali erogati dai comuni variano notevolmente per regione e per classe demografica del comune di residenza. La distribuzione disomogenea sul territorio dei più importanti servizi alle famiglie, come gli asili nido, l’assistenza sociale ai disabili e agli anziani non autosufficienti, appare ancora evidente, nonostante gli interventi volti al riequilibrio delle disparità territoriali e finanziati nell’ambito delle politiche di coesione. Variano sul territorio anche le prestazioni del Servizio sanitario nazionale, tipicamente secondo la ben nota direttrice Nord-Sud, mentre per i servizi ad alto impatto sulla qualità di vita degli individui, come la fornitura di acqua, la raccolta dei rifiuti e il trasporto pubblico, i differenti livelli di disponibilità e di efficienza sembrano dipendere da un articolato insieme di fattori, riconducibili anche alla dimensione media dei comuni, alle scelte politiche realizzate dalle singole amministrazioni, alla consapevolezza della cittadinanza (come nel caso della raccolta differenziata). Da notare, infine, come il forte aumento del consumo del suolo realizzato nel corso degli ultimi dieci anni ponga seri e crescenti problemi nell’erogazione di taluni servizi pubblici e interroghi l’intero Paese rispetto al modello di gestione del territorio che si intende perseguire, anche in funzione della straordinaria dotazione di risorse paesaggistiche di cui gode l’Italia e del loro valore economico di lungo termine. Il rapporto completo può essere consultato sul sito dell’Istat.

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