Secondo le recenti stime dell’Oms, nel 2020 la depressione sarà la seconda malattia per diffusione al mondo, dopo i problemi cardiovascolari. In particolare, gli ultimi 3-4 anni hanno visto un’esplosione dei disturbi mentali, depressione in primis, per numero di nuovi casi e per intensità. L’allarme è stato lanciato di recente da alcuni esperti internazionale del settore, durante la presentazione del nuovo centro di ricerca sulle neuroscienze di “Eli Lilly” a Londra.
Spesso accade, infatti, che disturbi neuropsichiatrici siano sottovalutati, mentre in realtà rappresentano nel mondo quasi il 30% dei casi di disabilità, rispetto all’11% dovuto al cancro. Tuttavia, pochi Paesi al mondo mettono a disposizione le risorse necessarie ad affrontare l’emergenza da più parti segnalata. Per quanto concerne le cause della depressione, oltre alla predisposizione genetica, non bisogna sottovalutare numerosi fattori esterni, come ad esempio la solitudine, i problemi economici e/o di salute, le difficoltà nella gestione delle relazioni interpersonali.
Fra i soggetti a rischio rientrano a pieno titolo gli anziani, spesso soggetti ad eventi traumatici quali la perdita del coniuge, della casa, dell’indipendenza economica, dell’autonomia, della mobilità e della salute fisica, soprattutto se si trovano ricoverati in case di riposo.
Eppure è stato dimostrato che la depressione produce delle alterazioni dei circuiti cerebrali ‘fotografabili’ con la risonanza magnetica funzionale, la tac e ora anche con un test del sangue, per cui l’eventuale presenza di situazioni di rischio in teoria potrebbe essere monitorata. Tuttavia, nel caso degli anziani, si pensa che sia normale che siano un po’ tristi, per cui spesso si ritiene – erroneamente – che non sia necessario, in questi casi, ricorrere alle cure specialistiche esistenti.
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