In Italia 100.000 decessi in più nel 2020 rispetto agli anni precedenti, indici di mortalità tra i più alti in Europa per gli anziani. Due Rapporti usciti in questi giorni ci danno l’esatta misura degli eventi tragici che sono accaduti nel periodo virulento della pandemia, che speriamo adesso ci stiamo lasciando alle spalle. Si tratta:
- del “Sesto Rapporto sull’impatto dell’epidemia Covid-19 sulla mortalità totale della popolazione residente nell’anno 2020 e 2021”, prodotto congiuntamente dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), che presenta una sintesi delle principali caratteristiche di diffusione dell’epidemia Covid-19 e del suo impatto sulla mortalità totale del 2020 e un’analisi dettagliata della nuova fase epidemica che, nel primo quadrimestre 2021, si caratterizza anche per la progressiva diffusione della vaccinazione Covid-19.
- di uno Studio dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP), attraverso i dati dell’Active Ageing Index, un indicatore sviluppato dalla United Nations Economic Commission for Europe che consente di mettere a confronto l’effetto della pandemia sulla popolazione anziana dei diversi paesi europei, focalizzando l’attenzione sulle dimensioni sociali che possono aver avuto un ruolo nel determinare l’impatto del Covid-19 sulla popolazione più matura.
Il primo Documento fornisce dei dati, in parte già noti, che da una parte evidenziano come nell’anno 2000 ci siano stati oltre 100.000 decessi in più rispetto alla media degli ultimi anni e dall’altra fanno risaltare l’evoluzione positiva della pandemia, soprattutto per quello che riguarda gli anziani, con un evidente calo della mortalità tra gli over 80, anche grazie alla campagna vaccinale. La fascia di età in cui si riscontra un’incidenza maggiore di decessi Covid-19 sui decessi totali è quella 65-79 anni, dove un decesso su 5 è attribuibile al Covid-19.
Il secondo Studio fa invece dei confronti internazionali ed evidenzia che, dopo la Bulgaria e insieme a Grecia e Ungheria, il nostro Paese ha avuto, prima del decollo della campagna vaccinale, il più alto tasso di letalità da coronavirus, giungendo alla conclusione che, dato il numero sempre maggiore di persone anziane che si trova in condizione di vulnerabilità e fragilità, soprattutto se relegate nelle RSA o prive di adeguata assistenza domiciliare, sono necessarie misure per favorire l’invecchiamento attivo: gli anziani non possono essere solo oggetto di assistenza, ma devono tornare ad essere artefici del proprio benessere.
Il Rapporto ISTAT – ISS
In Italia, dall’inizio dell’epidemia (20 febbraio 2020) fino al 30 Aprile 2021, sono stati segnalati al Sistema di Sorveglianza Integrato 4.035.367 casi positivi di Covid-19 Adiagnosticati dai Laboratori di Riferimento regionale (data di estrazione della base dati della Sorveglianza Integrata 26 maggio 2021), di cui 1.867.940 nei primi 4 mesi del 2021, il 46% del totale. Sempre dall’inizio dell’epidemia, nel Sistema di Sorveglianza Nazionale integrato Covid-19 dell’ISS, sono stati registrati 120.628 decessi di persone positive al Covid-19 con data di evento entro il 30 aprile 2020.
Di seguito si fornisce una sintesi dei principali risultati che emergono dal Rapporto.
- L’analisi del primo quadrimestre 2021 documenta, rispetto al 2020, un ulteriore calo in termini percentuali dei contagi registrati nella popolazione molto anziana (80 anni e più) e un abbassamento dell’età dei casi segnalati. Questo è un segnale di come la campagna di vaccinazione, le raccomandazioni e la prevenzione messa in atto abbiano dato esiti positivi nel ridurre la trasmissione di malattia nella fascia anziana della popolazione, ma è anche una conseguenza dell’aumentata capacità diagnostica e delle attività di tracciamento.
- Alla data del 7 giugno 2021 in Italia sono state somministrate 38.178.684 dosi di vaccino per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, con un totale di 13.028.350 di persone che hanno ricevuto il ciclo completo (24,01% della popolazione over 12 anni). Il secondo rapporto dell’ISS sull’impatto della vaccinazione Covid-19 nella popolazione italiana ha evidenziato una riduzione progressiva del rischio di infezione da SARS-CoV-2, di ricovero e di decesso.
- Nel 2020 il totale dei decessi per il complesso delle cause è stato il più alto mai registrato nel nostro Paese dal secondo dopoguerra: 746.146 decessi, 100.526 decessi in più rispetto alla media 2015- 2019 (15,6% di eccesso).
- Le regioni che riportano aumenti significativamente più alti della media nazionale sono il Piemonte, la Valle D’Aosta, la Lombardia e la Provincia autonoma di Trento. Le Regioni del Centro e del Mezzogiorno non mostrano variazioni rilevanti.
- Analizzando la diffusione del virus nei primi mesi del 2021, le Province con il maggior tasso di incidenza sono state quelle del versante Nord-orientale: Bologna, Gorizia, Forlì-Cesena, Udine, Rimini, Bolzano/Bozen. Molto bassa appare l’incidenza in alcune province della Sardegna (Sud Sardegna, Oristano, Sassari), in alcune Province della Calabria (Catanzaro, Cosenza, Crotone) e della Sicilia (Ragusa, Enna, Agrigento).
- Rispetto all’intero anno 2020, nei primi quattro mesi del 2021 l’impatto dei decessi per Covid-19 sui decessi totali è aumentato soprattutto nelle regioni del Centro e del Mezzogiorno.
- La stima del contributo dei decessi Covid-19 alla mortalità generale conferma come l’impatto sia più marcato nel genere maschile. Si evidenzia inoltre come la fascia di età in cui si riscontra un’incidenza maggiore di decessi Covid-19 sui decessi totali sia la 65-79 anni, in questa classe un decesso su 5 è attribuibile al Covid-19.
- Da marzo 2021 si cominciano ad osservare gli effetti positivi della campagna vaccinale che ha prioritariamente puntato a proteggere la popolazione più fragile. Rispetto al picco di decessi di marzo 2020 il calo più importante si deve soprattutto alla classe 80+.
- Facendo un confronto internazionale, l’Italia ha condiviso con la Spagna il primo drammatico incremento dei decessi a partire dal mese di marzo 2020. Tale incremento è comunque diminuito a partire dal mese di maggio 2020 fino al mese di ottobre quando si è verificata una nuova fase di rapida crescita dei decessi. Nel mese di dicembre e nei primi mesi del 2021 l’eccesso di mortalità in Italia è stato al di sotto della media europea per poi risalire leggermente nel mese di marzo 2021.
- Uno studio recente pubblicato sulla rivista British Medical Journal che ha mostrato gli eccessi in diversi paesi standardizzando per età, ha evidenziato che l’eccesso di mortalità nel nostro Paese è risultato inferiore a quello registrato in altri paesi Europei, tra i quali Spagna, Belgio e Regno Unito, e negli Stati Uniti.
Lo Studio INAPP
La popolazione anziana è stata quella che ha sofferto di più durante la pandemia. La percentuale di decessi rispetto ai casi di positività ufficialmente registrati, almeno prima del decollo definitivo della campagna vaccinale, ha continuato a vedere l’Italia tra i paesi più colpiti in Europa, con un valore pari al 3,1% significativamente sopra la media dell’area (2,4%). Da questo prende lo spunto uno Studio dell’INAPP, basato sull’indice di invecchiamento attivo (Active Ageing Index – AAI), un indicatore sviluppato dalla United Nations Economic Commission for Europe (UNECE). In particolare, l’indicatore considerato dall’INAPP include alcune dimensioni relative allo stile di vita, come l’esercizio fisico e la vita indipendente; ma, anche concrete possibilità individuali, come il redditto, l’accesso alle cure, l’assenza di rischio di povertà o la possibilità di accedere ad opportunità formative.
Ciò che traspare dalla ricerca è che la maggiore condizione di fragilità e vulnerabilità in cui versano gli anziani è dovuta a una condizione di scarsa qualità di vita nell’invecchiamento, soprattutto in determinate categorie sociali e in modo disomogeneo sul territorio nazionale.
Confrontando il tasso di letalità da Covid-19 con questi indicatori nei vari paesi – si sottolinea nello Studio – si rileva che al miglioramento dei fattori che sono alla base dell’invecchiamento attivo, diminuisca, anche se lievemente, l’impatto letale della pandemia. Lo Studio rileva inoltre come la fotografia scattata dall’indicatore non dia risultati uguali per tutta la popolazione anziana.
L’indice sintetico di invecchiamento attivo mostra differenziali negativi per le donne, ma non meno importanti sono le differenze territoriali e quelle relative ai livelli di istruzione. Tra il 2007 e il 2016, per esempio, l’indice sintetico mostra un miglioramento di 2,1 punti nelle regioni del Nord, ma solo di 1,1 al Centro e 0,7 al Sud. Per quanto riguarda il titolo di studio, ad un livello basso (che include la licenza media) è corrisposto un miglioramento di 1 punto; ad uno intermedio (diploma di maturità o equivalente) un avanzamento di 1,6 punti; ad uno elevato (livello universitario) un incremento di 1,8.
Anche il reddito mostra di avere avuto una influenza più significativa, se si pensa che ad un livello basso è corrisposto, sempre tra il 2007 e il 2016, addirittura un peggioramento di 1,2 punti, mentre a livello intermedio il decremento è stato di soli 0,1 punti. Il miglioramento dell’indice si verifica soltanto nella fascia reddituale più alta. Ciò mostra come molto ancora nel nostro paese sia necessario fare per ottenere un miglioramento dell’invecchiamento attivo diffuso in tutta la popolazione.
In sostanza, all’aumento dell’aspettativa di vita nel nostro Paese non è corrisposto un ugual miglioramento delle condizioni economiche e sociali delle persone anziane, che vengono assistite principalmente quando non autosufficienti (attraverso l’indennità di accompagnamento, l’assistenza domiciliare e il ricovero nelle RSA), mentre il problema che va risolto è quello di mantenere a lungo in salute, sia fisica che psichica, le persone anziane. A questo scopo è necessario sviluppare un sistema organico di politiche di sostegno all’invecchiamento attivo.
Prevenzione sul piano sanitario, diete salutari, esercizio fisico, mantenimento di attività cognitive, fruizione attiva del tempo libero, relazioni sociali ed affettive, transizioni graduali verso l’abbandono degli impegni lavorativi costituiscono assi su cui sviluppare concrete politiche di sostegno.
Questa dovrebbe essere la strada da perseguire perchè l’anziano continui ad essere artefice del proprio benessere e non solo oggetto di assistenza. Purtroppo – come lo studio dell’INAPP dimostra – le differenti condizioni economiche e sociali incidono pesantemente su queste variabili e sugli effetti della pandemia sui nostri anziani.
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