Sono trascorsi appena sei mesi dall’estate più calda degli ultimi 500 anni, eppure la situazione non è per nulla migliorata, anzi, le alte temperature di questo inverno e l’assenza di pioggia sempre più vasta in un periodo in cui dovrebbe piovere molto fanno intuire che avremo grandi e maggiori problemi di aridità e siccità nella ormai prossima stagione estiva.
Le temperature che si registrano in questi giorni, l’assenza di pioggia e la carenza di neve sulle Alpi (il 53% di neve in meno) costituiscono dati allarmanti e preoccupanti che dovrebbero smuovere le coscienze di tutti a livello globale, mentre invece sembra che il surriscaldamento e il cambiamento climatico non siano un fattore rilevante.
Tra gli innumerevoli inconvenienti che questo comporta, non si considera abbastanza un’altra grave conseguenza che il surriscaldamento comporta, e cioè l’inquinamento dell’aria che peggiora la salute degli individui.
Due nuovi studi confermano che l’esposizione prolungata all’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di depressione e ansia, persino in contesti dove lo smog è considerato sotto la soglia di allarme. A farne le spese sono soprattutto gli anziani, più vulnerabili dal punto di vista neurologico.
Infatti, l’inquinamento dell’aria non fa male solo ai polmoni: l’esposizione allo smog, anche a bassi livelli, aumenta il rischio di depressione e ansia, soprattutto in tarda età.
Da tempo si sospetta che l’inquinamento dell’aria abbia conseguenze più ampie di quelle – già ben documentate – sulla salute polmonare e cardiocircolatoria. Le due nuove ricerche, pubblicate su JAMA Network Open e JAMA Psychiatry, approfondiscono questo legame tra uno stile di vita in aree ad alto tasso di smog e peggioramento della salute mentale.
Il primo studio delle Università di Harvard ed Emory (USA) ha esaminato i dati di quasi nove milioni di americani sopra i 64 anni iscritti all’assicurazione sanitaria federale Medicare. Tra questi, più di 1,52 milioni avevano ricevuto una diagnosi di depressione tra il 2005 e il 2016. I ricercatori hanno mappato i livelli di inquinamento (polveri sottili, anidride carbonica, ozono) respirati nelle zone in cui i pazienti risiedevano, e notato un’associazione statisticamente significativa tra l’esposizione a quantità elevate di inquinanti e una diagnosi di depressione in età avanzata.
Le persone anziane sono risultate più a rischio a causa della maggiore vulnerabilità dell’apparato respiratorio e del cervello in età avanzata, e tra di esse, chi versava in condizioni socioeconomiche più difficili correva maggiori probabilità di soffrire di malattie mentali per via dell’esposizione simultanea a fattori di stress sociale e ambientale.
Oltre all’età, un fattore determinante è anche la condizione socio-economica: chi vive in contesti più difficili e meno agiati soffre più di frequente di disturbi mentali di vario genere, proprio a causa dell’esposizione simultanea allo stress sociale e a quello ambientale.
Per rappresentare un fattore di rischio, l’inquinamento atmosferico non deve necessariamente superare le soglie considerate accettabili dalla legge. Uno studio condotto dagli scienziati dell’Università di Oxford, Imperial College London e Peking University School of Public Health di Pechino, ha indagato gli effetti dello smog sull’incidenza di ansia e depressione in 390.000 persone per un periodo di 11 anni.
È stato osservato un rischio aumentato per entrambe le condizioni anche nelle aree in cui i livelli di inquinamento dell’aria erano considerati sotto la soglia di sicurezza per gli standard del Regno Unito.
Il mondo deve fare molto di più per combattere la deriva in cui stiamo andando, mettendo al centro dei problemi a livello globale la questione inquinamento, causa principale dei cambiamenti climatici. Agire sui limiti massimi consentiti per vari inquinanti potrebbe alleggerire i costi umani e sanitari di quelle che a buona ragione sono considerate le malattie del nostro tempo.
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