Il Governo ha deliberato il 27 settembre 2023 la Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NaDEF) 2023, poi resa pubblica il 30 settembre.
In attesa della predisposizione della Legge di Bilancio 2024, che renderà più chiaro quali saranno i provvedimenti che il Governo vorrà adottare per fronteggiare l’attuale difficile situazione economica, la NaDEF delinea i dati economico-finanziari che saranno alla base delle scelte. I principali sono i seguenti:
- Il Pil è stimato al +0,8% nel 2023, +1,2% nel 2024 e rispettivamente +1,4% e +1% nel 2025 e nel 2026.
- Il deficit tendenziale a legislazione vigente sarà del 5,2 per cento nel 2023, del 3,6 per cento nel 2024, del 3,4 nel 2025 e del 3,1% nel 2026.
- Nello scenario programmatico il deficit è del 5,3% nel 2023 e del 4,3 nel 2024. Riguardo alle proiezioni per il 2025 e il 2026 il documento prevede rispettivamente il 3,6% per cento e il 2,9 per cento.
- Il rapporto Debito/Pil è previsto ridursi dal 141,7 del 2022 al 139,6% nel 2026.
- Il tasso di disoccupazione è previsto in calo dal 7,6 (2023) al 7,3 del 2024.
- Le risorse in deficit da destinare alla manovra ammontano a circa 14 Miliardi, circa lo 0,7% di Deficit-Pil.
- L’indebitamento netto dall’obiettivo dal 4,5% previsto nel DEF sale al 5,3%. L’aumento, secondo il Governo, è ascrivibile per 0,9 punti percentuali al superbonus e ai bonus edilizi.
Riguardo alla Sanità, si legge nella NaDEF che “La Legge di Bilancio 2024 prevedrà, per il triennio 2024-2026, stanziamenti da destinare al personale del sistema sanitario”. Inoltre, il Governo afferma che ci saranno due disegni di legge collegati alla Legge di Bilancio: il primo in materia di riorganizzazione e potenziamento dell’assistenza territoriale nel SSN e dell’assistenza ospedaliera; il secondo in materia di riordino delle professioni sanitarie e degli enti vigilati dal Ministero della Salute.
In vista della discussione della Legge di Bilancio 2024, la Fondazione GIMBE, che svolge attività di ricerca e di evidenza scientifica in materia sanitaria, ha effettuato un’analisi indipendente della NaDEF 2023 relativamente ai riflessi sulla sanità facendo i rilievi che seguono.
- Nelle previsioni finali per il 2023, rispetto al 2022, la spesa sanitaria aumenterà in termini assoluti di € 3.631 milioni (+2,8%), ma, se consideriamo la spesa sanitaria in termini di percentuale di PIL, essa si riduce dal 6,7% al 6,6%.
- In una previsione poliennale 2024-2026, a fronte di una crescita media annua del PIL nominale del 3,5%, la NaDEF 2023 stima la crescita media della spesa sanitaria all’1,1%. Il rapporto spesa sanitaria/PIL cala così dal 6,6% del 2023 al 6,2% nel 2024 e nel 2025, e poi ancora al 6,1% nel 2026, un valore inferiore a quello pre-pandemico del 2019 (6,4%).
- Rispetto al 2023, in termini assoluti la spesa sanitaria nel 2024 scende a € 132.946 milioni (-1,3%), per poi risalire nel 2025 a € 136.701 milioni (+2,8%) e a € 138.972 milioni (+1,7%) nel 2026.
La fondazione GIMBE pone in evidenza che l’irrisorio aumento della spesa sanitaria di € 4.238 milioni (+1,1%) nel corso di tre anni (2024-2026) non basterà a coprire nemmeno l’aumento dei prezzi, sia per l’erosione dovuta all’inflazione, sia perché l’indice dei prezzi del settore sanitario è superiore all’indice generale di quelli al consumo. In altri termini, le stime previsionali della NaDEF 2023 sulla spesa sanitaria 2024-2026 non lasciano affatto intravedere investimenti da destinare al personale sanitario e ad intervenire sui punti di sofferenza del Sistema sanitario, ma certificano piuttosto ulteriori evidenti segnali di definanziamento.
Eppure, la Sanità è il vero grande malato del nostro sistema di welfare, a causa principalmente della scarsità di risorse ad essa dedicate. Per fare un confronto a livello europeo, mentre noi scivoliamo verso una spesa pari al 6,1% in rapporto al Pil, in Francia e Germania, tale rapporto supera il 10 per cento.
Agenas, l’Agenzia sanitaria delle Regioni, ha calcolato che il 35% di coloro che hanno bisogno di fare una visita specialistica o di fare accertamenti non passano attraverso strutture pubbliche o convenzionate, ma si rivolgono all’ampia offerta di privati, oppure all’intramoenia, cioè alla libera professione dei dipendenti del servizio sanitario nazionale.
Ciò è dovuto principalmente ad uno degli enormi problemi che affliggono la sanità italiana in questi anni e cioè le liste di attesa. A dispetto di quello che dice la legge riguardo ai tempi massimi di attesa, in tutte le Regioni, anche al Centronord, capita sempre più spesso che per un determinato esame bisogna aspettare anche un anno, e così il privato diventa una necessità per chi vuole risposte in tempi accettabili.
Le liste di attesa nascono da due fattori: il primo è l’offerta pubblica più bassa rispetto alla domanda, il secondo l’inappropriatezza delle richieste, e cioè la richiesta di prestazioni che non servono.
Riguardo al primo fattore, la sanità pubblica non riesce a lavorare agli stessi ritmi degli anni prima del Covid. Nel 2019 si facevano 228 milioni di visite ed esami (scesi poi a 163 e 194 milioni nel 2020 e 2021). L’anno scorso ci si è fermati a 205 milioni, cioè l’11% in meno. Ma bisogna considerare che la domanda nel frattempo è aumentata, anche perché devono essere recuperate prestazioni non fatte durante la pandemia, mentre il numero dei medici pubblici si assottiglia. Secondo i sindacati ogni anno duemila medici lasciano il Sistema sanitario nazionale per andare in strutture private, dove magari guadagnano il doppio, oppure a fare i liberi professionisti. Se il Fondo sanitario non viene opportunamente finanziato non è possibile aumentare l’offerta.
Riguardo al secondo fattore, da tempo si promettono riforme per evitare prescrizioni di visite ed esami inutili. La causa di questo fenomeno è anche la necessità per i medici di proteggersi e garantirsi da eventuali ricorsi da parte degli assistiti che chiedono risarcimenti quando l’intervento sanitario non è coronato da successo o non li soddisfa, ricorsi che spesso vengono accolti dalla Magistratura e che costituiscono una spada di Damocle sull’esercizio della professione medica.
A fronte di tutto questo, allora, va messo in particolare evidenza il monito che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha lanciato al Festival delle Regioni a Torino, dove ha affermato che la sanità pubblica è “un patrimonio prezioso, da difendere e adeguare”, in un momento in cui la scelta di far quadrare i conti della Manovra scegliendo la via dei tagli in un settore già oggi carente, dove avanza il privato che spesso sopperisce alle carenze del servizio pubblico, ma a spese dei cittadini che se lo posso permettere, è controproducente per la salute dei cittadini e per la stessa economia italiana.
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