Sono tanti, in buona forma, vitali e si dedicano agli altri: un patrimonio di competenza ed esperienza al servizio della collettività. Questi sono i principali risultati della ricerca «Gli anziani, una risorsa per il Paese», realizzata dal Censis per l’Anla (Associazione Nazionale Seniores d’Azienda). Ma vediamo in dettaglio:
Il protagonismo demografico. Tra poco più di un anno, nel 2015, il numero della popolazione over 65 anni coinciderà in pieno con quello della popolazione giovane, tra 15 e 34 anni, pari a circa 12 milioni e mezzo di persone.
Il neo-vitalismo. Tra gli aspetti che oggi caratterizzano gli stili di vita degli anziani e che contribuiscono al miglioramento delle loro condizioni di salute c’è la cura di se stessi e l’attenzione alla propria condizione psico-fisica, un’attenzione che si esprime in una serie di scelte e comportamenti nella vita quotidiana. Rispetto al 2002 sono raddoppiati gli anziani che si tengono in forma camminando o facendo attività sportiva all’aperto (praticata dal 53,9%), che prestano attenzione alla qualità biologica del cibo (31,5%) e alla salubrità della dieta quotidiana (23,2%). Circa un terzo degli anziani (30,3%) cerca di trascorrere brevi periodi di vacanza nel corso dell’anno, oltre a quelli legati alla pausa estiva. Il 14,3% frequenta abitualmente palestre e piscine. Il 9,7% si concede almeno una volta all’anno le cure termali. Il 4,4% si sottopone abitualmente a cure estetiche, con sedute di abbronzatura, massaggi per il corpo e per il viso.
Una risorsa per la società. L’impegno nel volontariato è un’attività molto diffusa tra gli anziani, che li rende un pilastro dell’altruismo sociale. Nel 2012 sono stati quasi un milione (969mila), vale a dire il 7% della popolazione over 65, gli anziani che hanno svolto attività gratuita di volontariato o partecipato a riunioni nell’ambito delle organizzazioni. Una quota in costante crescita, considerato che rispetto al 2007, se il numero dei volontari in Italia è aumentato del 5,7%, tra gli anziani si è registrato un incremento del 24,2% (pari a circa 200mila persone), a testimonianza del ruolo sempre più attivo che questi hanno nella società.
Il lavoro: dal fossato al ponte generazionale. Dal 2007 al 2012, mentre il numero dei giovani occupati di 15-34 anni è crollato (da 7 milioni 237mila a 5 milioni 789mila, quasi 1 milione e mezzo di posti di lavoro persi: -20%), i lavoratori con più di 55 anni sono aumentati da 2 milioni 766mila a 3 milioni 445mila (+24,5%). La competenza e l’esperienza dell’anziano può essere messa al servizio della collettività. Il 68,8% dei titolari di grandi aziende preferisce gli anziani rispetto ai giovani quando si tratta di competenze gestionali e organizzative, del riconoscimento nei valori aziendali (58,8%), delle competenze specialistiche (51,5%), della capacità di leadership (52,1%). I giovani hanno dalla loro invece l’orientamento all’innovazione (84,5%), la capacità di lavorare in gruppo (71,4%) e una maggiore produttività (61,2%).
La polarizzazione generazionale della ricchezza. Il divario tra le generazioni in termini di accesso al lavoro, di reddito, di risparmi e consumi non è mai stato così ampio. La percentuale di nonni che si occupano direttamente dei nipoti scende dal 35,8% del 2007 al 22,5%, e si contrae dal 17,5% al 9,7% la quota di anziani che si rendono disponibili per il disbrigo di mansioni in casa o di pratiche burocratiche. Aumenta però dal 31,9% del 2004 al 47,9% la quota di over 60 che contribuiscono con un aiuto economico diretto alla vita di figli e/o nipoti. E sono per lo più anziane le famiglie che detengono consistenti patrimoni, quote rilevanti di reddito, e sono poco o per nulla indebitate. Se all’inizio degli anni ’90 i nuclei con capofamiglia di età inferiore a 35 anni detenevano il 17,1% della ricchezza totale delle famiglie e le generazioni immediatamente precedenti il 19,6%, negli ultimi vent’anni la loro quota è scesa significativamente: rispettivamente al 5,2% per le prime e al 16% per le seconde. Nel frattempo è aumentata la quota di ricchezza detenuta dalle famiglie più anziane, con capofamiglia ultrasessantacinquenne, passata dal 19,2% al 32,7%.
L’impasse dei giovani. Stretti nella morsa del deficit di opportunità, da un lato, e del surplus di supporto familiare, dall’altro, rispetto ai coetanei europei i giovani italiani mostrano la tendenza a procrastinare sempre di più il momento delle scelte, della responsabilità e della maturità. Il ritardo che caratterizza l’uscita da casa degli italiani rispetto è stato aggravato dalla crisi. La quota di 15-34enni celibi e nubili che vivono in casa con i genitori è cresciuta ulteriormente, arrivando al 61%.
Aumentano i Neet. Ma a preoccupare di più è la crescita esponenziale del fenomeno che vede sempre più giovani chiamarsi fuori da qualsiasi tipo di impegno, che sia lo studio, il lavoro o la ricerca di un impiego. Dei circa 6 milioni 85mila italiani di 15-24 anni, il 59,1% si trova inserito in un percorso formativo, il 18,6% ha un lavoro, il 10,1% lo sta cercando, mentre il 12,2% non fa nessuna di queste cose. È l’universo dei Neet, giovani che non studiano, non lavorano e non sono intenzionati a cercare alcun tipo di occupazione, ma preferiscono restare a casa.
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