Nel 2013, il 28,4% delle persone residenti in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale, secondo la definizione adottata nell’ambito della strategia Europa 2020. Cioè è in una condizione di “grave deprivazione materiale” o “bassa intensità di lavoro”. Lo rileva l’Istat che ha diffuso il rapporto annuale su Reddito e condizioni di vita.
Il rischio povertà è in calo rispetto al 2012, ma sale per le famiglie numerose. Dal Rapporto dell’istituto di statistica emerge anche che la metà delle famiglie ha percepito un reddito netto non superiore a 24.215 euro l’anno, pari a circa 2.017 euro al mese. Ma, come sempre, nel Sud e nelle Isole la situazione peggiora: qui il 50% delle famiglie guadagna meno di 19.955 euro, vale a dire circa 1.663 euro mensili. Il reddito mediano delle famiglie che vivono nel Mezzogiorno è pari al 74% di quello delle famiglie residenti al Nord.
In particolare, rispetto al 2012, l’indicatore diminuisce di 1,5 punti percentuali, a seguito della diminuzione della quota di persone in famiglie gravemente deprivate (dal 14,5% al 12,4%); stabile la quota di persone in famiglie a rischio di povertà (19,1%) e in leggero aumento quella di chi vive in famiglie a bassa intensità lavorativa (dal 10,3% all’11,0%).
La diminuzione della grave deprivazione, rispetto al 2012, è determinata dalla riduzione della quota di individui in famiglie che, se volessero, non potrebbero permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni (dal 16,8% al 14,2%), di coloro che non riescono a sostenere spese impreviste di 800 euro (dal 42,5% al 40,3%) o non hanno potuto riscaldare adeguatamente la propria abitazione (dal 21,2% al 19,1%).
Sempre rispetto al 2012, il rischio di povertà o esclusione sociale diminuisce tra gli anziani soli (dal 38,0% al 32,2%), i monogenitori (dal 41,7% al 38,3%), le coppie con un figlio (dal 24,3% al 21,7%), tra le famiglie con un minore (dal 29,1% al 26,8%) o con un anziano (dal 32.3% al 28,9%). Tra le famiglie con tre o più figli si osserva, invece, un peggioramento: dal 39,8% si sale al 43,7%, a seguito dell’aumento del rischio di povertà (dal 32,2% al 35,1%).
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