L’identikit dell’istituto di statistica ha classificato i volontari in base alla tipologia del loro impegno e con Csv net e Fondazione Volontariato e Partecipazione ha quantificato il peso socio-economico.

I numeri di base che attestano lo sviluppo del volontariato sono: 6,63 milioni i volontari operativi, di cui 4,14 attivi in organizzazioni strutturate, e circa 3 milioni di volontari individuali, con circa 540mila che svolgono la loro attività sia in strutture che da singoli. Considerando una “settimana lavorativa” di 36 ore – afferma il comunicato del Cesv anche se all’Istat sono molto più prudenti e dicono che non è possibile calcolare questo numero con precisione – l’ammontare del lavoro volontario si può considerare equivalente a circa 875mila unità occupate a tempo pieno.

I dati diffusi non sono nuovi, erano stati già anticipati dall’Istat a luglio scorso e ora vengono analizzati nel dettaglio per coglierne meglio il valore e le ricadute sociali. Emerge un profilo assai positivo.

Chi fa volontariato ha un livello medio di fiducia verso gli altri e verso le istituzioni più alto e non di poco: dal 21 al 35,5% rispetto al resto della popolazione nel primo caso, dal 10,5 al 17 nel secondo. Soprattutto se svolge la sua attività in organizzazioni. E’ mediamente più soddisfatto del proprio lavoro ed è disposto a riconoscere che le sue informazioni e le sue visioni del mondo sono cambiate dopo aver fatto attività. Oltre al benessere relazione di chi ha allargato la propria rete di relazioni, il volontario tra le ricadute positive vede crescere dopo la sua attività, una coscienza civica e di partecipazione democratica che (soprattutto dopo gli ultimi dati sulla partecipazione politica) ha un valore assai evidente.

Le Famiglie del Volontariato: I curatori dell’Indagine li hanno, informalmente, classificati così:

  • 9,8% “laici dello sport”. Svolgono attività in associazioni sportive, hanno pochi legami con la Chiesa o altre strutture religiose, sono maschi occupati e del Nord-est.
  • 32,4% in “associazioni d’ispirazione religiosa”. Presentano motivazioni legate al proprio credo e al bene comune. Svolgono l’impegno, di lunga durata, non solo in modo organizzato ma individuale.
  • I “professionisti dell’assistenza” sono il 26,8%. Sono soprattutto donne e anche molti giovani studenti, che fanno attività di assistenza alla persona, operano prevalentemente in un’unica organizzazione e nel settore della sanità e della protezione civile.
  • 9,1% sono gli “stakanovisti della rappresentanza”, dirigenti delle associazioni, ma anche volontari che prestano servizio in sindacati e partiti o altre organizzazioni politiche. Con un monte ore molto “pesante”, circa 40 ore al mese di servizio. In gran parte maschi e occupati.
  • 13,5% le “eccellenze del volontariato”. Sono laureati e fanno attività di elevata specializzazione soprattutto culturali. E con motivazioni legate soprattutto al bene comune.
  • Più della metà dei volontari individuali, invece, sono nella rete di aiuti informali tra persone che si conoscono. Sono soprattutto donne, casalinghe, legate soprattutto all’assistenza alla persona. Anche negli individuali si hanno delle cosiddette “eccellenze”, ossia quando il proprio lavoro ‘sconfina’ nel volontariato, istruzione e sanità, medici professori e insegnanti che continuano la propria attività anche per altri, che sono persone prevalentemente sconosciute prima di instaurare la relazione di aiuto. Con un impegno molto intenso, s’interessano di politica e frequentano anche altre associazioni e partiti. Tra i volontari individuali, ci sono maschi e occupati che svolgono prevalentemente attività saltuarie un’ora a settimana, per ambiente o cura di animali.
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