Cosa spinge molti anziani a lavorare dopo il pensionamento? Certamente ci sono ragioni di carattere finanziario dipendenti dai bassi livelli della pensione, ma il più delle volte c’è il desiderio di rimanere attivi e produttivi, specialmente quando si svolge un’attività di lavoro autonomo, come quella degli artigiani, dei commercianti o dei coltivatori diretti.

E’ quanto si desume dai dati diffusi da Eurostat nell’ambito dell’Indagine sulla Forza Lavoro negli Stati membri.

Dall’Indagine risulta che Il 13% delle persone che vivevano nell’Unione Europea nel 2023 ha continuato a lavorare nei sei mesi successivi al percepimento pensione. Tra questi lavoratori, circa la metà ha mantenuto l’occupazione precedente, mentre l’altro 50% ha svolto un’altra attività, riducendo l’orario di lavoro o cambiando impiego.

Continuare a lavorare dopo il pensionamento. Uno sguardo a quello che avviene in Europa e in Italia
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Entrando nel dettaglio di quello che avviene nei vari Paesi europei, balzano subito agli occhi macroscopiche differenze, dovute alle particolari situazioni occupazionali, ai sistemi pensionistici differenti, al tenore di vita esistente ed anche alle peculiari leggi in vigore che condizionano la possibilità o meno di lavorare dopo il pensionamento. I Paesi baltici hanno registrato la quota più alta di persone che continuano a lavorare anche da pensionati. In Estonia tale percentuale raggiunge il 54%, seguita dalla Lettonia con il 44,2% e dalla Lituania con il 43,7%, mentre le quote più basse sono registrate in Romania con l’1,7%, in Grecia con il 4,2% e in Spagna con il 4,9%.

Quasi due terzi delle persone che hanno continuato a lavorare hanno dichiarato di apprezzare il proprio lavoro e di voler essere produttivi, altri hanno spiegato di volerlo fare per necessità finanziarie. Tra gli altri motivi per non smettere di lavorare c’è anche il desiderio di mantenere un’interazione sociale (11,2%) e l’attrattiva per il lavoro (9,1%).

La Danimarca, i Paesi Bassi e un pò meno l’Italia hanno fatto registrare le percentuali più alte di persone che hanno continuato a lavorare per piacere e non per necessità. Al contrario, le necessità finanziarie sono state le ragioni principali per i pensionati di Cipro, Romania e Bulgaria. Questo è dovuto al fatto che Paesi come il Lussemburgo e i Paesi Bassi concedono pensioni pubbliche molto generose, anche considerando l’alto costo della vita, e i pensionati ricevono un introito decente indipendentemente dalla situazione lavorativa precedente, mentre gli Stati dell’Europa orientale o meridionale generalmente possono godere di livelli pensionistici più bassi.

Andando più nello specifico su quello che succede nel nostro Paese, sempre secondo i dati Eurostat, il fenomeno dei pensionati che continuano a lavorare dopo la pensione riguarda oltre mezzo milione di italiani, di cui circa 140.000 tra i 60 e i 64 anni, 165.000 tra i 65 e i 69 e 115.000 tra i 70 e i 74 anni. In verità a noi sembra che tale dato sia abbondantemente sottostimato, in considerazione che molti anziani svolgono un’attività lavorativa che non emerge ufficialmente, senza considerare coloro che svolgono attività di pseudo volontariato all’interno di Organizzazioni no profit o di altro tipo.

In 20 anni, dal 2003 al 2023, in Italia il tasso di occupazione degli over 50 (pensionati e non) è salito dal 23,1% al 34%, crescendo a un ritmo superiore di quello medio europeo, e tra i 60-64enni tale percentuale nello stesso periodo è più che raddoppiata, passando dal 19,8% al 44,1%, così come tra 65-69enni dove è passata dal 6,3% al 14,7%. Tali percentuali, per le donne, sono ancora più eclatanti.

Venendo alle figure lavorative degli anziani che rimangono al lavoro dopo la pensione, un’alta percentuale si registra tra i manager (il 34,1%), spinti evidentemente da motivazioni professionali forti, ma anche dai grossi guadagni. Percentuali ugualmente alte ci sono nei settori del commercio, dei servizi, dell’assistenza alla persona, degli artigiani e degli operai specializzati, ma il record, il 54,4%, si raggiunge nell’ambito degli addetti all’agricoltura.

In effetti, c’è una differenza nettissima tra i comportamenti e le scelte dei lavoratori dipendenti e quelli degli autonomi: tra questi ultimi, infatti, continua a lavorare ben il 56,6% di chi è andato in pensione, in genere non perché spinti da necessità economiche, ma perché è fortissimo il legame, per esempio per gli artigiani, tra loro e l’azienda, considerata al pari di una loro creatura. E’ innegabile che tali scelte sono possibili anche per il fatto che le partite IVA, i commercianti, gli artigiani, gli agricoltori, i professionisti godono di una maggiore flessibilità, che consente loro almeno in parte di proseguire l’attività, di scegliere il grado di impegno, magari introducendo i figli nell’azienda, disimpegnarsi gradualmente passando dolcemente da uno stato super impegnato ad un altro con più tempo libero.

Certamente, se per molti oggi la scelta di continuare a lavorare è dovuta a ragioni di carattere finanziario, la situazione peggiorerà in futuro, quando ad accedere al pensionamento saranno le generazioni nate dopo gli anni ’90, sia perché la carriera lavorativa dei giovani è caratterizzata da una maggiore precarietà, sia perché saranno soggetti a regole previdenziali molto meno favorevoli. E’ da attendersi che, con tassi di sostituzione (rapporto tra stipendio percepito in attività e importo della pensione) inferiori al 60% o anche al 50%, sempre più persone saranno costrette a lavorare anche dopo la pensione, con l’aggravante che l’età di pensamento si è spostata verso l’alto.

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