Negli ultimi decenni in tutto il mondo è cresciuta significativamente l’aspettativa di vita. Ma una vita più lunga non sempre corrisponde a una migliore qualità della salute fisica e mentale tra gli anziani, soprattutto in determinate situazioni.
Molti fattori, non solo di carattere fisico, ma anche sociale, agiscono sugli individui e provocano l’insorgere di questa o quella malattia e il degradarsi dello stato di salute. Molto potrebbe essere fatto nella limitazione dei fattori che determinano l’insorgenza delle malattie se ci fossero politiche sanitarie e sociali mirate di tipo preventivo per ridurre l’esposizione al rischio e promuovere un invecchiamento sano e inclusivo.
Per esempio, uno Studio italiano pubblicato su Neodemos mette in luce importanti disuguaglianze sociali e fattori socio-economici che influiscono nel nostro Paese sul benessere degli anziani. Fattori come il livello di istruzione, il reddito e il territorio di appartenenza, ma anche la possibilità di svolgere una vita attiva e partecipata, hanno un impatto significativo sullo stato di salute degli anziani, così come le differenze di genere. Le donne, infatti, pur vivendo più a lungo degli uomini, soffrono maggiormente di limitazioni funzionali e di una salute complessiva peggiore.
Un altro Studio assai interessante, che viene da Singapore, prende in considerazione in modo particolare una malattia socialmente assai diffusa e rilevante come la demenza senile, vale a dire l’insieme di tutti quei sintomi, quasi sempre causati da altre malattie, che provocano il graduale deterioramento della memoria, del ragionamento, del comportamento e delle abilità sociali più in generale. Anche in questo Studio si mettono in rilievo i benefici che possono derivare da politiche per migliorare la salute fisica, mentale e sociale degli anziani.
In verità, la comunità scientifica è impegnata da decenni nella ricerca di possibili cure per la demenza e studi dopo studi hanno permesso negli anni di identificare i principali fattori di rischio. I parametri da tenere sotto controllo sono: la perdita dell’udito, la perdita visiva, l’ipertensione, il fumo, l’obesità, la depressione, l’inattività fisica, il diabete, il consumo eccessivo di alcol, i traumi cranici, l’inquinamento, l’isolamento sociale, il colesterolo LDL alto. Sono anche al vaglio anche farmaci, come ad esempio quelli per la prostata, che potrebbero aiutare a ridurre il rischio di sviluppare una delle forme di demenza più aggressive.
Nel caso di Singapore, negli ultimi dieci anni il governo locale ha promosso una serie di politiche di invecchiamento attivo che puntano a migliorare la salute fisica, mentale e sociale degli anziani, incoraggiando uno stile di vita sano grazie a una serie di attività che includono programmi di attività fisica, screening regolari per la prevenzione di malattie croniche e campagne di sensibilizzazione, così come corsi di formazione e attività culturali atte a promuovere l’apprendimento e il coinvolgimento sociale anche in tarda età.
Questo ha permesso di avviare una ricerca unica nel suo genere, condotta periodicamente dal Ministero della Salute in collaborazione con l’Università di Singapore e il King’s College di Londra, dal titolo “Well-Being of the Singapore Elderly (WiSE)”, il benessere degli anziani di Singapore. La prima tappa della ricerca risale a dieci anni fa, subito dopo l’inizio della promozione dell’invecchiamento attivo, e negli ultimi mesi, a dieci anni di distanza, si è potuto fare un confronto coi dati raccolti in precedenza.
L’indagine ha coinvolto 2.010 partecipanti di oltre 60 anni residenti a Singapore e ha evidenziato un notevole calo nei casi di demenza registrati nel Paese. Il merito, secondo i ricercatori, sarebbe da attribuire proprio alle politiche di promozione dell’invecchiamento attivo.
Mettono in evidenza i ricercatori di Singapore che gli sforzi generali di prevenzione, come un miglioramento dell’istruzione, dell’occupazione, della dieta e dello stile di vita sano, così come interventi più mirati come la prevenzione dell’ictus e la riabilitazione precoce dei pazienti colpiti da ictus, potrebbero aver ridotto la prevalenza della demenza.
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