Per avere una prestazione sanitaria in tempi ragionevoli, secondo il IX rapporto Censis-Rbm, 19,6 milioni di italiani nel 2018 hanno pagato di tasca propria. E molti rinunciano addirittura alle cure. Secondo la trasmissione Dataroom per capire quel che sta dietro il problema delle liste d’attesa la questione è strettamente collegata all’attività privata dei medici che in Italia, in 51 mila e rotti su 118 mila, visitano in libera professione (riconoscendo all’ospedale solo il 20% del fatturato!) dentro l’ospedale pubblico per cui lavorano (altri 10 mila visitano in studi privati senza collegamento con la struttura pubblica, i restanti 57 mila invece lavorano solo per il servizio sanitario).
E’ quanto va dicendo da sempre, anche l’Anap che ritiene che il problema deve essere affrontato seriamente e senza pregiudizi. Tenendo anche conto della circostanza che i medici in Italia, come sostenuto sempre da Dataroom, percepiscono onorari significativamente inferiori ai corrispondenti medici esteri. E il numero dei medici è nettamente inferiore al necessario. Certo occorre trovare le risorse necessarie, ma anche in questo caso, l’Anap ha più volte sostenuto che queste si possono trovare ottimizzando le risorse ed eliminando gli sprechi.
Va anche detto, e anche questo lo riferisce Dataroom, che il sistema sanitario nazionale deve comunque garantire una prestazione in 72 ore se urgente, entro 10 giorni se c’è il codice “breve”, entro 30 giorni per una visita e 60 per un esame se è differibile, e ancora entro 180 se è programmata (dal 2020 entro 120). È il medico che al momento della prescrizione indica il codice di priorità sulla ricetta. Se l’attesa è più lunga, e troppo spesso lo è, c’è un decreto legislativo – il 124 dell’aprile 1998 – che prevede: “Qualora l’attesa della prestazione richiesta si prolunghi oltre il termine (…), l’assistito può chiedere che la prestazione venga resa nell’ambito dell’attività libero-professionale intramuraria, ponendo a carico del sistema sanitario la differenza tra la somma versata a titolo di partecipazione al costo della prestazione e l’effettivo costo di quest’ultima, sulla scorta delle tariffe vigenti”. In sintesi vuol dire che è possibile utilizzare la libera professione dentro l’ospedale pubblico e pagare solo il ticket. La norma di fatto è stata raramente applicata perché poco conosciuta.
La ministra alla Salute Giulia Grillo, che ha insediato il 9 luglio l’Osservatorio proprio sulle liste di attesa ha appena rilanciato il problema come una novità, ma sulla fattibilità e sulle reali politiche che si intendono portare avanti è bene stare con gli occhi aperti.
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