L’ANAP esprime la sua profonda preoccupazione per un fenomeno, definito dei “medici a gettone”, di cui troppo poco si parla, ma che sta diventando una realtà molto preoccupante.
Sempre più spesso, soprattutto negli ultimi 2 anni, la sanità pubblica italiana per far fronte alla carenza di organico dei medici si rivolge a cooperative che fungono da intermediari, le quali forniscono queste figure professionali su richiesta.
I “medici a gettone” sono pagati per coprire un singolo turno di lavoro, di solito di 12 ore, spesso si tratta di medici giovanissimi senza esperienza e senza specializzazione.
Questo fenomeno sta decretando diverse criticità nel nostro sistema sanitario, poiché i “medici a gettone”:
- sono pagati molto di più rispetto a quelli direttamente assunti dalle aziende ospedaliere e hanno anche molte meno responsabilità. Questo comporta che molti medici preferiscono aderire alle cooperative piuttosto che puntare all’assunzione nelle aziende ospedaliere, alcuni addirittura scelgono di licenziarsi dall’ospedale, complicando ulteriormente la già nota carenza di queste figure professionali
- essendo disponibili “su chiamata”, ovviamente non possono garantire continuità nelle cure dei pazienti, quella che comunemente viene definita la “presa in carico del paziente”, che soprattutto nei casi di quelli lungodegenti comportano delle conseguenze facilmente immaginabili, come diagnosi e terapie
- non dovendo fare i conti con la sostenibilità economica dell’azienda ospedaliera, non essendo loro dipendenti, possono ordinare anche controlli che molte volte possono risultare inutili quali tac, analisi, ecc., decretando per l’azienda ospedaliera un ulteriore costo particolarmente alto e che in condizioni diverse potrebbe essere evitabile
- sono medici la cui professionalità non si sa bene da chi venga verificata. L’azienda ospedaliera, ogni qualvolta si rivolge alle cooperative, è in grado di fare queste valutazioni? Le cooperative cui fanno capo sono in grado di valutare adeguatamente le competenze?
- possono gestire il proprio lavoro autonomamente e quindi osservare turni di lavoro continuativi anche fino a 36 ore, senza che nessuno abbia la facoltà di controllare, cosa che ovviamente non accade per coloro che sono direttamente dipendenti dall’ospedale. Questo può comportare un fattore di rischio che non può non essere considerato, infatti un prolungato orario di lavoro può portare a maggiori possibilità di commettere errori, che considerato il delicato ruolo ricoperto, ricadono in maniera importante sulla collettività.
L’esternalizzazione del lavoro medico è stato decretato illegale nel 2018, ma durante la pandemia a causa delle condizioni di emergenza legate al Covid è tornato ad legale. Ad oggi seppure l’emergenza sembra essere finita, il fenomeno dei medici a gettone continua ad esistere e a incidere pesantemente sulla sanità italiana. In Piemonte e Toscana vi fa ricorso il 50% delle aziende ospedaliere, il 60% in Liguria e il 70% in Veneto.
L’Associazione chiede con fermezza alle Istituzioni preposte di disciplinare al più presto questo fenomeno, al momento sfugge da qualsiasi regola, che da una parte rischia di diventare pericoloso per coloro che necessitano di cure mediche e che dall’altra comporta anche un elevato costo per una sanità già in profonda difficoltà.
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