La Corte europea per i diritti dell’uomo, con la sentenza del 20 gennaio 2015 ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 della Convenzione Europea per il mancato rispetto del diritto alla vita privata e familiare di due cittadini piemontesi, nonni di una minore, privati del rapporto con la propria nipote.
Secondo la Corte, la ratio della norma in questione è essenzialmente quella di proteggere l’individuo da interferenze arbitrarie da parte delle autorità pubbliche, ma non si limita a costringere lo Stato ad astenersi da tale interferenza.
Sullo stato incombono anche obblighi positivi per rendere effettivo il diritto alla vita privata o familiare. Tali obblighi possono comportare l’adozione di misure concrete e adeguate. Secondo la Corte, lo Stato deve mettere a disposizione del cittadino tutti i mezzi giudiziari che consentono l’attuazione dei propri diritti ed il rispetto dei provvedimenti giudiziari che riguardano tali diritti, anche prevedendo misure specifiche che si rendono opportune nel caso concreto.
La sentenza ha richiamato alcune recenti decisioni in cui la Cedu aveva affermato che il rapporto tra nonni e nipoti rientra tra i legami familiari, ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione.
Nel caso di specie – si legge in sentenza – i ricorrenti non hanno potuto vedere la nipote per dodici anni, e hanno costantemente cercato un riavvicinamento con la bambina, attenendosi alle prescrizioni dei servizi sociali e degli psicologi. E’ chiaro che non è stato sufficiente mantenere una qualche forma di contatto tra nonni e nipoti e il ritardo nel riavvicinamento ha avuto una conseguenza molto grave: la rottura totale del loro rapporto.
Per questo motivo, la Corte ritiene che le autorità nazionali non abbiano compiuto sforzi adeguati e sufficienti per preservare il rapporto di parentela tra i ricorrenti e la loro nipote, ignorando il loro diritto al rispetto della vita familiare ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione.
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