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Il titolo corrisponde ad una ricerca pubblicata recentemente su un’importante rivista scientifica, JAMA Internal Medicine, condotta su 6.000 persone studiate in modo meticoloso per oltre 8 anni. La ricerca, ha evidenziato che coloro che si sentono più giovani della loro età reale hanno il 25% di probabilità in più di sopravvivenza rispetto a coloro che si sentono collocati giustamente nella loro età, e ben il 50% di probabilità in più rispetto a quelli che si sentono più anziani dell’età anagrafica. È evidente che lo stato di salute del singolo, così come l’approccio nell’affrontare situazioni di disagio e malattie, incide positivamente o negativamente sulla percezione della propria condizione. Sono fattori strettamente collegati al singolo individuo; non esiste una regola collettiva e generalizzabile.

Diventa, allora, fondamentale avere a disposizione una rete efficace di assistenza territoriale in grado di coniugare al meglio teoria e pratica. Ciò presuppone l’avere a disposizione operatori sociali o sanitari che vivono la loro professione, non come ripiego, ma come un impegno svolto con entusiasmo, fatto indispensabile per trasmettere serenità e speranza nelle persone assistite. Ma occorre anche superare la visione di una società come l’attuale che trasmette sempre di più il mito della giovinezza, come se essere anziani sia una colpa, e contemporaneamente, superare la convinzione che solo l’essere giovani consente di vivere bene.

Bisogna prendere atto della propria condizione senza speranze illusorie e fuorvianti, ma nemmeno con grandi patemi.

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