L’ultimo Report dell’ISTAT aggiorna le previsioni demografiche sulla popolazione residente e sulla composizione delle famiglie in Italia. Il quadro che ne emerge conferma la presenza di un potenziale quadro di crisi.
Popolazione in calo progressivo
Sulla base dello scenario di previsione “mediano” è attesa una decrescita della popolazione residente nel prossimo decennio: da 59,2 milioni al 1° gennaio 2021 (punto base delle previsioni) a 57,9 milioni nel 2030, con un tasso di variazione medio annuo pari al -2,5‰.
Nel medio termine la diminuzione della popolazione risulterebbe più accentuata: da 57,9 milioni a 54,2 milioni tra il 2030 e il 2050 (tasso di variazione medio annuo pari al -3,3‰).
Nel lungo termine le conseguenze della dinamica demografica prevista sulla popolazione totale si fanno più importanti. Tra il 2050 e il 2070 la popolazione diminuirebbe di ulteriori 6,4 milioni (-6,3‰ in media annua). Sotto tale ipotesi la popolazione totale ammonterebbe a 47,7 milioni nel 2070, conseguendo una perdita complessiva di 11,5 milioni di residenti rispetto a oggi.
Dinamiche demografiche nel segno di un crescente sbilanciamento
Da circa 15 anni l’Italia sta affrontando un ricambio naturale negativo, alla base della riduzione della popolazione, nonostante la parziale contropartita di dinamiche migratorie con l’estero di segno positivo.
Alla luce delle ipotesi condotte, però, i flussi migratori non potranno controbilanciare il segno negativo della dinamica naturale. Nondimeno, essi si mostrano comunque contraddistinti da incertezza profonda, essendo svariati i fattori che possono dare adito a scenari diversificati. Per restare a quanto avvenuto negli ultimi anni, basti pensare alla drastica riduzione delle migrazioni dettata dalla pandemia nel 2020, alla successiva ripresa economica avviata nel 2021 che ha agito da leva naturale per il richiamo degli immigrati nel Paese.
Sempre più anziani, si accentuano gli squilibri strutturali
La popolazione di 65 anni e più oggi rappresenta il 23,5% del totale, quella fino a 14 anni di età il 12,9%, quella nella fascia 15-64 anni il 63,6%, mentre l’età media si è avvicinata al traguardo dei 46 anni. Di fatto, la popolazione del Paese è già ben dentro una fase accentuata e prolungata di invecchiamento.
Dalle prospettive future scaturisce un’amplificazione di tale processo, per lo più governato dall’attuale articolazione per età della popolazione e, solo in parte minore, dai cambiamenti immaginati circa l’evoluzione della fecondità, della mortalità e delle dinamiche migratorie, in base a un rapporto di importanza, all’incirca, di due terzi e un terzo rispettivamente.
Entro il 2050 le persone di 65 anni e più potrebbero rappresentare il 34,9% del totale, mentre l’intervallo di confidenza al 90% presenta un campo di variazione compreso tra un minimo del 33% a un massimo del 36,7%. Comunque vadano le cose, l’impatto sulle politiche di protezione sociale sarà importante, dovendo fronteggiare i fabbisogni di una quota crescente di anziani.
I giovani fino a 14 anni di età, sebbene nello scenario mediano si preveda una fecondità in recupero, potrebbero rappresentare entro il 2050 l’11,7% del totale, registrando quindi una lieve flessione. Sul piano dei rapporti intergenerazionali, tuttavia, si presenterebbe il tema di un rapporto a quel punto squilibrato tra ultrasessantacinquenni e ragazzi, in misura di circa tre a uno.
Nel 2041 un milione di famiglie in più, ma mediamente più piccole
Nel giro di venti anni si prevede un aumento del numero di famiglie di circa un milione di unità: da 25,3 milioni nel 2021 si arriverebbe a 26,3 milioni nel 2041 (+3,8%). Si tratta di famiglie sempre più piccole, caratterizzate da una maggiore frammentazione, il cui numero medio di componenti potrà scendere da 2,3 persone nel 2021 a 2,1 nel 2041. Anche le famiglie con almeno un nucleo (ossia contraddistinte dalla presenza di almeno una relazione di coppia o di tipo genitore-figlio) varieranno la loro dimensione media da 3,0 a 2,8 componenti.
A incidere sull’aumento del numero complessivo di famiglie sono le famiglie senza nuclei, che con un incremento del 20,5%, da nove a circa 11 milioni nel periodo 2021-2041, arriverebbero a costituire il 41,4% delle famiglie totali.
In aumento gli ultra65enni soli
Il calo delle famiglie con nuclei deriva dalle conseguenze di lungo periodo delle dinamiche sociodemografiche in atto in Italia: l’invecchiamento della popolazione, con l’aumento della speranza di vita, genera infatti un maggior numero di persone sole; il prolungato calo della natalità incrementa le persone senza figli, mentre l’aumento dell’instabilità coniugale, in seguito al maggior numero di scioglimenti di legami di coppia, determina un numero crescente di individui e genitori soli.
Le famiglie monocomponente, soprattutto per la loro composizione per età, hanno una ricaduta sociale importante: è, infatti, principalmente nelle età avanzate che aumentano molto le persone sole. Se già nel 2021 la quota di persone sole di 65 anni e più rappresenta la metà di chi vive da solo, nel 2041 raggiungerebbe il 60%. In termini assoluti, le persone sole arriverebbero a 10,2 milioni (+20%), di cui 6,1 milioni avranno 65 anni e più (+44%).
Aumento fabbisogni di assistenza, ma anche possibili ricadute positive dall’attivismo degli anziani
L’aumento della sopravvivenza tra gli anziani, molti dei quali soli, potrebbe comportare un futuro aumento dei fabbisogni di assistenza. Un maggior numero di anziani soli può però generare anche risvolti positivi; la più lunga sopravvivenza, caratterizzata, si presuppone, anche da una migliore qualità della vita, potrebbe consentire a queste persone di svolgere un ruolo attivo nella società: ad esempio, come già accade oggi e verosimilmente un domani, supportando le famiglie dei propri figli nella cura dei nipoti e garantendo loro sostegno economico, partecipando al ciclo economico nella veste di consumatori di servizi assistenziali ma anche in quella di investitori di capitali.
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