Nei giorni scorsi è stato presentato il quinto Rapporto Long Term Care (Cure a lungo temine) predisposto dall’Osservatorio dell’Università Bocconi di Milano, che fornisce una visione a tutto campo dell’assistenza agli anziani in Italia, riguardo alle problematiche normative, alle strutture assistenziali, al personale e degli operatori addetti alle cure, con particolare riguardo alle RSA.
Il Rapporto mette in evidenza impietosamente la necessità di dare risposte tempestive ed esaurienti alla questione della non autosufficienza, che attualmente vede la dispersione in mille rivoli, quasi sempre con diseguaglianze soggettive e territoriali, del sistema di assistenza ad una popolazione di non autosufficienti composta nella quasi totalità da anziani.
Gli ultimi dati disponibili, quelli del 2020, mostrano che nel nostro Paese i non autosufficienti over 65 anni sono circa 3.936.000, pari al 28,4% del totale degli ultrasessantacinquenni, un numero in costante crescita per via del progressivo invecchiamento della popolazione.
A fronte di questa situazione, cosa fanno le famiglie italiane con anziani bisognosi di assistenza? Una piccolissima parte si rivolge a un centro diurno, il cui numero, però, negli ultimi due anni si è ridotto notevolmente a causa della pandemia; un altro 6,3 per cento ha trovato ospitalità nelle RSA; un quinto dei non autosufficienti viene assistito a casa attraverso l’assistenza domiciliare, che tuttavia offre mediamente non più di due interventi al mese, oppure attraverso il sacrificio dei familiari; ma poi la gran parte delle famiglie si rivolge alle badanti, spesso con grandi sacrifici economici.
Per quanto riguarda le RSA, da una parte ci sono le lamentele dei familiari sui quali vengono caricati aumenti delle rette da capogiro, dall’altra ci sono i gestori delle strutture che sostengono di lavorare in perdita a causa dell’aumento dei costi energetici, per il fatto che i pazienti sono sempre più anziani e gravi, perchè il personale è in fuga e chi resta pretende aumenti salariali, al punto che ogni settimana chiude una RSA, riducendo così ulteriormente il numero di posti letto, che oggi sono 19 ogni mille over 75, la metà della media europea.
Il Rapporto della Bocconi evidenzia non solo la crisi di personale che coinvolge il settore sanitario, mostrando le difficoltà, anche economiche, in cui si dibattono le RSA e i servizi, ma sottolinea altresì che non si può prescindere dall’assumere decisioni di riorganizzazione e dall’adozione di interventi normativi risolutivi.
Infatti, i dati evidenziano che per il 91% delle RSA intervistate la normativa regionale e gli standard ormai vetusti dei servizi sono percepiti come il più grande vincolo alla gestione del personale, in quanto sovente sottostimano le necessità in funzione delle caratteristiche effettive del servizio residenziale, chiamato a rispondere a bisogni sempre più complessi e multi-dimensionali dei residenti.
La crisi di personale è significativa. Nel 2022 mancavano il 21,7% degli infermieri, il 13% dei medici e il 10,8% degli operatori socio-santari. Il settore, peraltro, ha perso nel tempo attrattività, tanto che il 62% del personale infermieristico ha lasciato le RSA per il comparto sanitario ospedaliero, con ripercussioni che rischiano di essere drammatiche in termini di qualità dell’assistenza.
Tale crisi impatta direttamente sulle aziende RSA sia riguardo alla reperibilità di addetti formati e specializzati, sia riguardo all’aumento dei costi, tanto che il 62% delle strutture dichiara un peggioramento del proprio bilancio mentre il 74% denuncia un aumentato burnout (condizioni di stess) dei dipendenti determinato dalla carenza numerica.
Peraltro, un’analisi dettagliata condotta in 12 regioni italiane ha mostrato una grande eterogeneità normativa, a livello di tariffe e anche nelle quote di compartecipazione, nonché una profonda eterogeneità di servizi, frutto di standard molto diversi tra loro, con buona pace dei criteri di uniformità che dovrebbero essere a monte dell’assistenza e della capacità di rispondere ai bisogni della cittadinanza.
Sul fronte badanti, c’è il problema tutto italiano delle famiglie costrette, a causa delle carenze degli aiuti pubblici, a farsi carico interamente, o quasi, del costo dell’assistenza da loro fornita, con ricorso assai frequente all’utilizzo di lavoro in nero a causa degli aumenti incessanti dei costi del lavoro regolare, che non sono ammessi neppure a detrazione fiscale.
Un altro Rapporto, quello sul lavoro domestico dell’Associazione Domina, dice che grazie a una spesa famigliare di quindici miliardi l’anno per le badanti – di cui sette pagati cash -, le casse pubbliche risparmiano ogni anno 10,1 miliardi di euro, che corrispondono all’importo di cui lo Stato dovrebbe farsi carico se gli anziani accuditi in casa venissero ricoverati in struttura pubblica.
La speranza di queste famiglie, ma anche di tutte quelle che si verranno ad aggiungere a causa dell’aumento delle persone non autosufficienti, è tutta nella legge delega per gli anziani non autosufficienti, che nei giorni scorsi ha superato l’esame del Parlamento. Adesso serve che il Governo emani con concretezza e al più presto i decreti delegati che dovrebbero dare pratica applicazione ai principi stabiliti dalla legge, dotando altresì il nuovo sistema che verrà disegnato di adeguate risorse.
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