Secondo un rapporto pubblicato da Caritas Europa, con l’aumento del numero di persone anziane e della domanda di assistenza, il settore delle cure e dell’assistenza sociale in Europa è a rischio poiché coloro che assistono (cosiddetti badanti) sono sottopagati, oberati di lavoro e non protetti. L’UE dovrebbe quindi fare di più nell’indirizzare le politiche dei Paesi membri.
Intitolato “Invecchiare con dignità, le sfide dell’assistenza a lungo termine in Europa“, il rapporto mostra che il settore dell’assistenza a lungo termine, con la domanda di cure che è aumentata a dismisura, ha difficoltà a soddisfare le esigenze di molti cittadini anziani, in particolare quelli a basso reddito, mentre la spesa pubblica non tiene il passo con la domanda.
È probabile che questa situazione si deteriori man mano che negli anni a venire aumenterà il rapporto tra il numero di anziani e di cittadini attivi. In Grecia, Italia, Portogallo e Spagna, ad esempio, le persone di età superiore ai 65 anni dovrebbero rappresentare il 60% della popolazione entro il 2050.
Secondo il rapporto, il numero di persone che potrebbero aver bisogno di cure a lungo termine nell’Unione europea dovrebbe aumentare da 30,8 milioni nel 2019 a 33,7 milioni nel 2030 e poi a 38,1 milioni nel 2050.
Un’altra questione evidenziata nella relazione riguarda il reclutamento e il mantenimento del personale di assistenza a lungo termine. Le famiglie ricorrono sempre più a lavoratori informali e personale non dichiarato, per cui non sorprende che il costo delle cure sia così alto e che molte famiglie non sono in grado di permetterselo.
Il rapporto indica che più di un terzo delle badanti nell’UE fa parte del “settore sommerso”, cioè lavora senza permessi, senza protezione sociale e senza supporto professionale. La maggior parte delle cure fornite nell’UE (tre quarti dell’assistenza prestata) è svolta dalle cosiddette “assistenti informali”, prevalentemente familiari donne che prestano assistenza gratuitamente, un onere per le loro carriere professionali che accentua ulteriormente le disuguaglianze di genere.
Infine, il fatto che la popolazione del continente invecchia e i tassi di natalità continuano a diminuire, avrà conseguenze anche sulla forza lavoro, che si ridurrà.
Transizione demografica e assistenza: fare di più a livello UE
Nel rapporto, molti suggerimenti politici vengono rivolti all’UE e agli Stati membri, in particolare per quanto riguarda l’aumento dei finanziamenti per i fornitori di assistenza senza scopo di lucro.
La Commissione ha affermato di voler affrontare le debolezze del settore e aiutare i Paesi membri a formare, trattenere e attrarre lavoratori al fine di limitare l’impatto negativo della transizione demografica sulle economie regionali e di affrontare il declino della popolazione attiva nel continente.
L’attenzione della Commissione si è concentrata principalmente su una recente raccomandazione del Consiglio sull’assistenza a lungo termine, che corrispondeva in varia misura alle raccomandazioni politiche del rapporto.
La Caritas ha evidenziato i progressi compiuti attraverso la direttiva sul salario minimo e la direttiva sull’equilibrio tra lavoro e vita privata per genitori e tutori, ma ha affermato che sarà difficile vederne le conseguenze a breve termine e che bisogna fare molto di più.
Gli autori del rapporto hanno sottolineato anche il ruolo svolto dai lavoratori migranti nel settore dell’assistenza a lungo termine e hanno chiesto migliori percorsi verso la migrazione regolare. Poiché è più probabile che questi lavoratori finiscano coinvolti in lavori di assistenza non dichiarati, si chiede il rafforzamento dell’Autorità europea del lavoro.
Infine, la Caritas chiede agli Stati membri di investire di più nell’assistenza a lungo termine, evidenziando che una delle principali sfide del modello sociale europeo riguarda le preoccupazioni macroeconomiche e di bilancio che prevalgono su quelle sociali, a scapito dei gruppi più vulnerabili.
E questo è, purtroppo, confermato dalle recenti raccomandazioni di bilancio della Commissione, in cui l’Esecutivo europeo chiede di ridurre la spesa pubblica e di investire di più nella competitività e nella transizione ecologica, mentre i salari dei lavoratori ospedalieri e di altri operatori sanitari sono generalmente visti come spese piuttosto che come investimenti.
Da uno Studio del Senato i confronti sull’assistenza in Italia e in altri Paesi
Al primo posto per aspettativa di vita alla nascita, pari a 83 anni, l’Italia è in fondo alla classifica per la capacità di offrire ai propri anziani assistenza a lungo termine. Con appena 19 posti per 1000 abitanti over 65 anni, abbiamo la più bassa disponibilità di strutture residenziali destinate agli anziani.
Questo e altri dati sono contenuti nel documento ‘Il Servizio sanitario nazionale compie 45 anni’, realizzato dall’Ufficio valutazione e impatto del Senato, che confronta i nostri numeri con quelli di 7 Paesi: Canada, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti e Svezia.
Mentre nel nostro Paese stentano a partire le cure domiciliari integrate, il confronto vede l’Italia ultima per disponibilità di risorse (18,8 posti per 1000 abitanti di età pari o superiore a 65 anni) per i posti letto destinati a cure a lungo termine in strutture residenziali: il penultimo posto, con 30 posti, va agli Stati Uniti, mentre la classifica vede in cima la Svezia, con 68 posti letto per 1000 abitanti over65, seguita dai 54 della Germania e dai 51 del Canada.
L’analisi conferma l’Italia ultima per spesa sanitaria pubblica totale in rapporto al Pil: il dato 2021 è pari al 7,1% del prodotto interno lordo, mentre la spesa pubblica statunitense, con il 15,9%, è al picco dei paesi considerati.
Riguardo ai posti letto ospedalieri, l’Italia è terza fra i Paesi europei (anno 2020), con 3,2 posti a disposizione per 1.000 abitanti, mentre al primo c’è la Germania con 7,8 posti.
Quanto al numero di infermieri in attività per 1000 abitanti spicca il primo posto della Germania (12) mentre Italia e Spagna sono in fondo, con appena 6,3 e 6,1 professionisti.
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