Molti pensionati potrebbero avere una spiacevole sorpresa riscuotendo la pensione di maggio. Infatti, per effetto del nuovo criterio di rivalutazione delle pensioni previsto dall’ultima Legge di Bilancio approvata a fine 2018, c’è la concreta possibilità di dover restituire una parte dell’assegno accreditato nei primi mesi del 2019.
Diciamo subito che non si tratta di grosse somme, trattandosi del conguaglio di pochi mesi, e che riguarda le pensioni dai 1.523 euro in su, tuttavia quello che ci preme sottolineare è che ancora una volta si tratta di una conseguenza di politiche volte solo a fare cassa sulle spalle dei pensionati, intaccando il principio, già peraltro più volte messo in discussione nel passato, secondo cui la pensione è frutto di un contratto tra contribuente e Stato (INPS) e pertanto il suo valore e potere di acquisto andrebbe difeso e salvaguardato nel tempo.
L’Inps in questi giorni sta inviando a circa un milione di pensionati delle lettere in cui si annuncia l’entrata in vigore dei nuovi parametri per la rivalutazione delle pensioni, con un taglio per gli assegni di importo più elevato, e si rende noto che verranno fatte le trattenute sulla pensione di maggio. E’ importante capire il motivo di queste trattenute facendo chiarezza sui pensionati interessati.
Come ogni pensionato avrà avuto modo di constatare, dal 1° gennaio 2019 le pensioni sono state rivalutate dell’1,1% (indice ISTAT) con i criteri previsti anteriormente all’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2019, ossia:
- Per gli assegni entro tre volte il trattamento minimo (1.522,26€): rivalutazione al 100% dell’1,1%;
- Per gli assegni tra le tre (1.522,27€) e le cinque volte (2.537,10€) il trattamento minimo: rivalutazione al 90%, ossia allo 0,99%;
- Per gli assegni oltre le cinque volte il trattamento minimo (2.537,11€): rivalutazione al 75%, ossia allo 0,825%.
La Legge di Bilancio 2019, però, ha adottato un altro criterio, che si applicherà per tre anni, riducendo le percentuali di rivalutazione specialmente per coloro che percepiscono una pensione superiore a 2.000 euro. La nuova perequazione delle pensioni sarà così effettuata:
- Per gli assegni entro tre volte il trattamento minimo (1.522,26€): rivalutazione al 100% dell’1,1%;
- Per gli assegni tra le tre (1.522,27€) e le quattro volte (2.029,68€): rivalutazione al 97%, ossia del 1,06%;
- Per gli assegni tra le quattro (2.029,69€) e le cinque volte (2.523,10€) il trattamento minimo: rivalutazione al 77%, ossia allo 0,84%;
- Per gli assegni tra le cinque (2.537,11€) e la sei volte (3.044,52€) il trattamento minimo: rivalutazione al 52%, ossia allo 0,57%;
- Per gli assegni tra le sei (3.044,53€) e le otto volte (4.059,36€) il trattamento minimo: rivalutazione al 47%, ossia allo 0,51%;
- Per gli assegni tra le otto (4.059,37€) e le nove volte (4.566,78€) il trattamento minimo: rivalutazione al 45%, ossia allo 0,49%;
- Per gli assegni oltre le nove volte (4.566,79€) il trattamento minimo: rivalutazione al 40%, ossia allo 0,44%.
Nessuna variazione, quindi, per coloro che percepiscono una pensione lorda inferiore a 1.522,26 euro, ma per le pensioni superiori a 2.000/2.200 euro la rivalutazione con i nuovi criteri comporterà perdite per i pensionati non trascurabili. Per rendersi conto di cosa significa questa mancata rivalutazione, facciamo alcuni esempi:
- una pensione di 2.200 euro mensili lordi (1.650 netti) perderà 5 euro al mese;
- una pensione di 2.800 mensili (1.970 netti) perderà 13 euro al mese;
- una pensione di 3.500 mensili (2.350 netti) perderà 17 euro al mese.
Sembra poco, ma, se consideriamo che la rivalutazione all’inflazione sarà ridotta anche nel 2020 e 2021 e che le somme perse saranno perse per sempre, per una pensione come nell’esempio di 2.800 euro lordi (1.970 euro netti) stiamo parlando di perdite che in dieci anni saranno superiori a 5.000 euro.
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