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All’indomani dell’approvazione del nuovo ISEE era sorta la polemica per l’inclusione, nel nuovo indicatore di ricchezza delle famiglie, dei contributi erogati ai disabili (art. 4, comma 2, lettera f) del Dpcm n. 159/2013).

Il Tar del Lazio a febbraio di quest’anno, accogliendo un ricorso all’uopo presentato, ha bocciato la norma sui sussidi ai disabili per “irragionevolezza e manifesta ingiustizia“.

In particolare, secondo i giudici amministrativi non era dato comprendere per quale ragione, nella nozione di reddito che dovrebbe riferirsi a incrementi di ricchezza idonei alla partecipazione alla componente fiscale di ogni ordinamento, erano stati compresi anche gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore delle situazioni di disabilità, quali le indennità di accompagnamento, le pensioni INPS alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi INAIL.

Nonostante la sentenza del Tar, si è continuato a calcolare l’ISEE secondo le regole  in vigore, vale a dire tenendo conto delle prestazioni di invalidità e indennità varie. Il  Governo, inoltre, a luglio ha impugnato la sentenza in secondo grado, davanti al Consiglio di Stato che ha fissato la discussione della causa ai primi di dicembre. Solo alla fine dell’anno sapremo dunque se nel calcolo dell’ISEE devono essere considerati ancora i sussidi ai disabili e le altre prestazioni di analoga natura.

Come al solito sarebbe ancora la magistratura ad intervenire per correggere errori del Governo e del legislatore. Non sarebbe stato meglio che questi vi avessero pensato prima tenendo bene a mente il principio dell’equità e della ragionevolezza in una materia così delicata che riguarda le persone più fragili?

E che dire del Governo che ha fatto ricorso alla sentenza del Tar? Come dice un detto latino: errare  umanum est, perseverare autem diabolicum!

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