Oggi vorremmo proporre la lettura di un libro quanto mai interessante sul welfare: «Tra l’incudine e il martello. Regioni e nuovi rischi sociali in tempo di crisi» Riformare il welfare in tempi di crisi non è una sfida facile. Dare risposte concrete ai bisogni crescenti dei cittadini, con risorse decrescenti (i colpi di accetta sono arrivati a ridurre della metà le risorse degli enti locali), sembra quasi una missione impossibile. Eppure, le regioni e gli enti locali sono stati capaci, nonostante i vincoli imponenti, di sperimentare nuove forme e nuovi modelli organizzativi di protezione sociale, rivisitando e riaggiustando il “vecchio” stato sociale.
Il volume edito da Il Mulino mette a confronto cinque regioni italiane (Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia, Toscana e Puglia) e le loro specifiche risposte ai nuovi rischi sociali: la non-autosufficienza degli anziani; l’integrazione degli immigrati e dei loro nuclei familiari; la conciliazione tra famiglia e lavoro; la perdita del lavoro in assenza di requisiti adeguati per accedere alle tutele tradizionali; i bisogni mutevoli di assistenza sanitaria; la povertà in aumento nonostante il lavoro. Tra difficoltà, opportunità e sforzi congiunti di pubblico e privato, le regioni stanno affrontando una partita cruciale, su cui si giocherà il futuro delle istituzioni del welfare e quindi, e soprattutto, del nostro paese.
Se le sfide cambiano e il contesto pure, innovare non è una scelta. E’ un obbligo. Ecco due esempi, riportati da “La Stampa”:
- Sfida n.1. L’alleanza con la generazione pivot. In tempi difficili, sono soprattutto gli adulti attivi quelli a cui si può chiedere aiuto, schiacciati a mo’ di sandwich tra la responsabilità di assistere la generazione successiva (figli e nipoti) e quella precedente. Nel paese più vecchio d’Europa, gli ultra-ottantenni (5,8% contro il 4,7% come media europea) «pesano» sul bilancio pubblico 6 volte di più di chi ha fino a 50 anni (3000 euro pro-capite contro 500). I welfare locali sono dunque stati rimaneggiati e riaggiustati con un mix di risposte che vanno dal tutto pubblico al tutto privato, ma che tendono in ogni caso alla de-istituzionalizzazione della cura e quindi richiedono una alleanza con la generazione di mezzo: dagli assegni di cura all’assistenza domiciliare sovvenzionata, dai centri diurni alle case di riposo con rimborso pubblico parziale o totale, dal sostegno per le badanti alla promozione delle «badanti di condominio», dalle polizze sanitarie alla banca delle ore come benefici integrativi del welfare aziendale.
- Sfida n.2. Il cambiamento dei modelli organizzativi. La rete dei servizi è stata completamente ridisegnata nei territori. Come gli aeroporti, le strutture ospedaliere sono delle reti con al centro ospedali più grandi e altamente specializzati e intorno piccoli presidi per degenze ordinarie e a ciclo breve. Senza troppi traumi, a detta di alcuni. «La gente normalmente non va a comprarsi le scarpe nel paesino piccolo dove dovrebbe essere chiuso l’ospedale, se le va a comprare nel grande centro urbano… si figuri se non va ad usufruire dei servizi sanitari nella grande città… non è che dice “le scarpe me le vado a comprare in città mentre la craniotomia mela voglio fare sotto casa”…». E i nuovi ospedali sono strutture ad alta intensità di cura dove i pazienti non viaggiano in barella tra un reparto all’altro, sono i medici che si spostano. Ci sono poi le Case della salute h24, che mettono insieme cure primarie e prestazioni specialistiche, evitando agli utenti una processione infinita tra i vari pezzi del sistema. Tutto cucito insieme da finanziamenti che solo per il 61% sono pubblici, mentre il restante 39% sono privati (tra contratti outdoor per i fornitori e compartecipazione dei cittadini). Il discorso sul welfare ha dunque bisogno di un nuovo repertorio di soluzioni, di un nuovo lessico e di un rapporto virtuoso tra pubblico e privato. «Thinking out of the box», dicono gli anglo-sassoni: «pensare fuori dalla scatola», sfuggire dagli schemi triti e ritriti del passato o dalla lamentela perenne rimpiangendo ciò che non ci sarà più. Gli enti locali ci stanno provando, seppure tra mille difficoltà e un disagio sociale sempre più mordente. Con la furia smisurata del burocrate di strada che sul territorio non molla la presa. E la risposta dal basso all’asfissia del centro, che spicca ancora di più in tempi di stallo e di ristagno istituzionale come quelli di oggi.