Il Centro Studi Itinerari previdenziali l’ancia l’allarme sulle prospettive future. Il VI Rapporto sul “Bilancio del Sistema Previdenziale italiano” predisposto dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali svolge un’analisi approfondita, e per certi versi inedita, degli andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza in Italia. Alla presentazione del Rapporto, avvenuto il 13 febbraio 2019 a Roma presso la Camera dei deputati, a cui hanno partecipato quali oratori vari parlamentari della maggioranza e dell’opposizione, rappresentanti del Governo, oltre ovviamente agli estensori del prezioso documento, ha partecipato anche una rappresentanza dell’ANAP.
Partendo dai dati degli andamenti della spesa pensionistica e delle entrate contributive nelle differenti gestioni pensionistiche pubbliche e privatizzate, il Rapporto opera un’importante riclassificazione della spesa ripartendo le competenze tra previdenza e assistenza per l’anno 2017. Ma il Rapporto effettua anche previsioni sulla stabilità del Sistema previdenziale, e in generale del sistema di welfare italiano, nel medio e lungo termine, facendo una specifica riflessione sui recenti provvedimenti legislativi.
Dal quadro che ne esce fuori si rileva una spesa pensionistica sostanzialmente stabile e sotto controllo, evidente sintomo del fatto che le riforme varate nel recente periodo, pur non esenti da criticità, hanno colto l’obiettivo fondamentale di stabilizzarla, e una spesa assistenziale che, invece, corre a ritmi sei volte superiori a quelli della spesa pensionistica.
Il Centro Studi fondato dal Prof. Brambilla suona infine l’allarme sull’impatto sui futuri equilibri del Sistema previdenziale degli interventi sul sistema pensionistico contenuti nella Legge di Bilancio per il 2019 e nei successivi decreti (Quota 100, Reddito di cittadinanza, etc.).
Il Sistema previdenziale “puro” è in attivo: Nel 2017, la spesa pensionistica relativa a tutte le gestioni previdenziali ha raggiunto, al netto della quota GIAS (Gestione Interventi Assistenziali), i 220,8 miliardi contro i 218,5 miliardi del 2016, con un’incidenza sul PIL del 12,87%. Calcolando la spesa al netto di ogni forma di assistenza (quota GIAS per i dipendenti pubblici, maggiorazioni sociali e integrazioni al minimo per i privati), la spesa scende però addirittura all’11,74% del PIL, valore in linea con la media dei Paesi europei.
Le entrate contributive sono state pari a 199,8 miliardi, con un aumento dell’1,7% rispetto a 2016, tuttavia non sufficiente a evitare un saldo negativo di circa 21 miliardi.
Il discorso cambia, però, se si scorporano dalla spesa previdenziale le spese per prestazioni assistenziali (maggiorazioni sociali, integrazioni al minimo, etc.), che vengono erogate solo in base al reddito e che, quindi, dovrebbero essere considerate come uscite per il sostegno alla famiglia e all’esclusione sociale, e se inoltre si calcolano le prestazioni previdenziali al netto delle tasse (che rientrano allo Stato). In tal modo si ottiene la spesa pensionistica “pura” che, bilanciata con i contributi versati dalla produzione, fa evidenziare un valore in attivo di oltre 34 miliardi.
Tabella – Il bilancio della spesa pensionistica “pura”
Numero di pensionati e numero delle prestazioni: Anche a seguito della lenta eliminazione delle vecchie pensioni erogate soprattutto a partire dagli anni Settanta e Ottanta a soggetti di giovanissima età, prosegue la lenta riduzione del numero di pensionati, che nel 2017 ammontavano a 16.041.852 unità. Grazie poi all’effetto combinato con l’aumento dei lavoratori attivi, il rapporto tra occupati e pensionati tocca quota 1,435, valore prossimo a quell’1,5 che potrebbe rappresentare la soglia necessaria per la stabilità di medio e lungo periodo per l’intero sistema.
Per contro, nel 2017, si registra un aumento delle prestazioni in pagamento (28.682 prestazioni in più rispetto al 2016), per cui, se si tiene conto della popolazione italiana complessiva, il rapporto è di circa 2,63 prestazioni per abitante. Tale fatto è imputabile prevalentemente a prestazioni di natura assistenziale.
Gli andamenti delle principali Gestioni pensionistiche: Disaggregando i dati del 2017 sugli andamenti economici delle varie Gestioni pensionistiche, emerge una situazione molto differenziata per le varie categorie. Quattro categorie (lavoratori dipendenti privati, commercianti, liberi professionisti e parasubordinati) hanno realizzato saldi positivi. Per i lavoratori dipendenti e i commercianti l’avanzo è ottenuto grazie ai trasferimenti dalla Gestione interventi assistenziali.
Le altre categorie di assicurati (dipendenti pubblici, artigiani, agricoli, etc.) hanno fatto invece registrare saldi negativi. Gli artigiani sono penalizzati dal fatto che dal 2005 in poi hanno perso 270.000 iscritti attivi e, nel contempo, hanno visto crescere di 280.000 il numero delle pensioni erogate. Restando alla categoria degli artigiani, il saldo negativo della loro Gestione pensionistica ammonta nel 2017 a 3.213 milioni di euro, anche se la situazione è in leggero, ma continuo miglioramento. In particolare, le uscite ammontano a 11.708 milioni in diminuzione (- 25 milioni) rispetto all’anno precedente e le entrate contributive sono state pari a 8.495 milioni in crescita (+ 53 milioni) rispetto al 2016.
Di conseguenza il risultato di esercizio, evidenzia un disavanzo di 5.532 milioni che porta la situazione patrimoniale a un saldo negativo di 66.891 milioni a fronte dei 61.358 milioni del 2016.
La separazione tra previdenza e assistenza: Con riferimento al 2017, l’insieme delle prestazioni assistenziali (prestazioni per invalidi civili, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali, pensioni di guerra) ha toccato quota 4.082.876 unità, per un costo totale annuo di circa 22 miliardi. Se si aggiungono però anche integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali, si arriva a un totale di 8.023.935 “pensioni assistite”. Per cui, i beneficiari di queste prestazioni rappresentano di fatto la metà dei pensionati totali.
Tabella – Il numero delle prestazioni assistenziali
Il costo di tutte le attività assistenziali a carico della fiscalità generale per il 2017 è ammontato a circa 110 miliardi di euro: in sei anni il tasso di crescita dei trasferimenti, e quindi delle spese per assistenza, è stato pari al 5,32%, un incremento superiore alla crescita del PIL. Senza considerare peraltro che a queste cifre andrebbero poi aggiunte le spese per il welfare sostenute dagli Enti locali.
Tabella – La spesa a carico della fiscalità generale
Da tutto ciò discende la necessità di separare previdenza e assistenza non solo a livello contabile, ma anche e soprattutto nella gestione delle comunicazioni con organi e istituzioni internazionali, al fine di evitare il rischio di sovrastime, che possono mettere in allarme le agenzie di rating e che spingono l’Unione Europea a chiedere al nostro Paese riforme del sistema previdenziale, di fatto non necessarie.
Il Prof. Aberto Brambilla, Presidente di Itinerari Previdenziali, ha messo in evidenza, nel corso della presentazione, il fatto anomalo che un Paese del G7 abbia oltre la metà dei propri pensionati totalmente o parzialmente assistita dallo Stato e ha puntato il dito anche contro una possibile “inefficienza della macchina organizzativa”, che finisce col distribuire queste risorse a una platea troppo vasta per rispecchiare l’effettiva situazione economica del Paese. Il rischio è in prospettiva estendibile anche a reddito di cittadinanza e misure analoghe che finiscono con l’incoraggiare “furbi”, evasori ed elusori, anziché essere realmente destinate ai “più bisognosi”.
Quanto si spende per il welfare in Italia: Secondo il Rapporto è un falso mito quello secondo cui l’Italia spende poco per il welfare. Infatti la spesa per prestazioni sociali nel 2017 è ammontata a 454 miliardi di euro, con un aumento del 6,18% rispetto al 2012. Sul totale della spesa pubblica complessiva comprensiva degli interessi sul debito pubblico, la spesa per prestazioni sociali incide quindi per il 54,01%).
Rispetto al PIL, la spesa sociale, tutto considerato, si attesta al 30% circa, uno dei livelli più elevati dell’Europa a 27 Paesi, che richiede per essere finanziata – oltre a tutti i contributi sociali, quando previsti – tutte le imposte dirette (IRPEF, IRES, IRAP e ISOS) e almeno altri 7,68 miliardi cui attingere attraverso imposte indirette.
Prospettive di breve e medio-lungo periodo: Ancora è tutto da valutare l’impatto sul sistema pensionistico degli interventi inseriti nella Legge di Bilancio per il 2019 e nei successivi decreti (introduzione Quota 100 e Reddito di cittadinanza, blocco dell’indicizzazione dell’anzianità contributiva, flessibilizzazione in uscita per precoci e donne, mantenimento di APE sociale e lavori gravosi).
Tali provvedimenti, facendo prevedere un incremento nel numero dei pensionati di oltre 300.000 unità, potrebbero interrompere sia la riduzione in atto del numero delle pensioni, sia il miglioramento del rapporto attivi/pensionati, peraltro senza alcun elemento equitativo nel calcolo della pensione. Inoltre potrebbero portare ad un aumento della spesa assistenziale di oltre 8 miliardi (anche in virtù dell’introduzione del reddito di cittadinanza), cui non si accompagnano incentivi a favore di lavoro e produttività. Con il rischio concreto che la spesa assistenziale superi nel 2019 i 120 miliardi di trasferimenti (142 miliardi in totale).
Questo rappresenta secondo Itinerari previdenziali una prospettiva assai pericolosa, in assenza non solo di un’efficiente macchina organizzativa e di controllo, ma anche, e soprattutto, alla luce del rallentamento dell’economia del Paese.
Che cosa cambia con gli interventi del Governo sulle pensioni: Ancora tutto da valutare però – secondo il centro studi fondato da Brambilla – l’impatto degli interventi sul sistema pensionistico inseriti nella Legge di Bilancio per il 2019 e nei successivi decreti (introduzione quota 100 e reddito di cittadinanza, blocco dell’indicizzazione dell’anzianità contributiva, flessibilizzazione in uscita per precoci e donne, mantenimento di APE sociale e lavori gravosi): provvedimenti che, “verosimilmente, potrebbero in prima battuta interrompere sia la riduzione del numero delle pensioni sia il miglioramento del rapporto attivi/pensionati, facendo prevedere un incremento nel numero dei pensionati di oltre 300.000 unità, senza alcun elemento equitativo nel calcolo della pensione, e un aumento della spesa assistenziale di oltre 8 miliardi (anche in virtù dell’introduzione del reddito di cittadinanza), cui non si accompagnano peraltro incentivi a favore di lavoro e produttività”.
Gli scenari dopo gli interventi del Governo sulle pensioni: Con il rischio concreto – sottolinea il report – “che la spesa assistenziale superi nel 2019 i 120 miliardi di trasferimenti (142 miliardi in totale): una prospettiva “pericolosa”, in assenza non solo di un’efficiente macchina organizzativa e di controllo, ma anche e soprattutto alla luce del rallentamento dell’economia del Paese”.
I numeri sul sistema pensionistico: Il rapporto del centro studi fondato da Brambilla fornisce una sintesi degli andamenti di spesa pensionistica, entrate contributive e saldi nelle differenti gestioni pubbliche e privatizzate, cui si aggiunge un’importante opera di riclassificazione della spesa (con ripartizione tra previdenza e assistenza), utile non soltanto a tracciare un bilancio del 2017, ma anche a effettuare previsioni sulla stabilità di medio e lungo termine del sistema di welfare italiano, tenendo conto anche delle modifiche introdotte dalla Legge di Bilancio per il 2019.
Il commento di Brambilla: “Ancor di più in un anno segnato da molte promesse, ma anche da interventi concreti in materia, non si può negare che pensioni e assistenza si confermino temi ad ampia sensibilità sociale per gli italiani. Ragione per la quale – precisa Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali – diventa essenziale confutare molti luoghi comuni diffusi anche nel dibattito politico in materia, a cominciare da quello che vuole la spesa per le pensioni fuori controllo. Al contrario, dal 2013 al 2017, al netto dell’assistenza, la spesa pensionistica ha fatto registrare un aumento medio pari allo 0,88%, evidente sintomo del fatto che le riforme varate in questo periodo, pur non esenti da criticità, hanno colto l’obiettivo fondamentale di stabilizzarla. A preoccupare sono piuttosto i numeri dell’assistenza che, peraltro, in assenza di un contributo di scopo, è totalmente a carico della fiscalità generale”.
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